Da un paio di giorni sto frugando nell’archivio on line dell’Eco di Bergamo.
Ho bisogno di risalire a cose che forse all’epoca mi erano sfuggite.
All’epoca significa da due mesi a questa parte.
Da due mesi a questa parte Federico ha maturato un’insana passione per i lumini.
Quelli da chiesa, da processione, da estremo saluto.
Quelli rossi con la fiammella in mezzo.Quelli da accendere quando si fa un voto o si domanda una grazia.
Federico non fa in tempo a entrare in santuario che vuole accenderne uno, e poi un altro, e poi un altro ancora.
A volte lo spazio a disposizione è già pieno e allora bisogna spegnerne uno, e poi un altro, e poi un altro ancora.
Guai a smorzare i “suoi”.
I “suoi” sono intoccabili, quelli degli altri un po’ meno.
Frignerebbe da far scendere Cristo dalla croce.
Da buon agnostico non mi ero mai posto il problema delle conseguenze.
Fino all’altro giorno.
L’altro giorno abbiamo atteso che l’anziana signora davanti a noi si girasse e subito le abbiamo spento il lumino perché ci stesse il nostro.
Tempo di far soffiare Federico sulla fiammella e l’anziana signora ha cominciato a tossicchiare, poi tossire convulsamente, quindi rantolare-scatarrare fino allo spasimo.
Il sacrista l’ha soccorsa e tutto si è risolto per il meglio.
Io e Fede ci siamo guardati e siamo tornati a casa pensierosi: che la donna avesse chiesto un’intercessione per lo stato di salute precario? Che il nostro gesto avesse smorzato sul nascere la supplica? E prima di allora? Quante volte? Chi? In che misura? Fino a che punto?
Ho controllato: sull’Eco non danno notizia di tragedie ad Arcene da due mesi a questa parte.
Ma se io e Fede siamo in giro e vediamo un compaesano con il braccio rotto, in carrozzella o con la testa fasciata, allora abbassiamo gli occhi.
Di fronte ai manifesti funebri, poi, acceleriamo il passo per non incrociare lo sguardo delle immaginette.
Che a volte ci appare incazzoso.
Come di chi sa come sono andate le cose.
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