Avevo sentito parlare per la prima volta del waterboarding ai tempi della guerra in Iraq.
Si tratta praticamente della tecnica di interrogatorio-tortura che consiste nell’immobilizzare una persona a volto in su e versarle acqua sulla faccia in modo da rendere molto difficoltosa la respirazione.All’epoca la notizia mi aveva colpito ma non scandalizzato più di tanto, nel senso che, trattandosi di un contesto di guerra, non ero stato lì a sottilizzare tra legittimo e illegittimo, morale e immorale.
Poi la scorsa notte ho cambiato idea.
Ho assistito ai lavaggi nasali di mio figlio.
Più che assistito, l’ho tenuto da dietro all’americana mentre la mamma procedeva con l’intervento invasivo.
Pipette di soluzione salina da far schizzare su per il naso per purgare le mucose e agevolare il respiro.
Encomiabile nella finalità, condannabile nella pratica, esecrabile nella reazione.
Creature inermi che si divincolano come dei posseduti invocando come dei posseduti Dio.
Stamattina, mentre a stento mandavo giù bocconi a colazione, ho firmato su Internet una petizione internazionale contro il waterboarding.
Fatelo anche voi: www.nowaterboarding/savefederico/stopirene/ioeseguivosolodegliordini.onu
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