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Sacrosanta, più che legittima.
Ogni anno, con l'approssimarsi dell'autunno, scatta l'indifferenza generale a proposito di un'altra piaga della nostra società: l'abbandono degli ombrelli.
Se 60 milioni di Italiani ne avessero uno, il settore manifatturiero in questione sarebbe il più fiorente e trainante dell'economia nazionale.
A circolarne, probabilmente, non saranno più di un migliaio; forse qualche centinaia.
Pochi stanno in casa; la maggior parte attendono un nuovo padrone fuori dai bar, incastrati fra i sedili del vagone della metro, negli androni dei palazzi in cui si è stati ospiti per una sera.
Passano di mano in mano non per tacito accordo da loggia massonica ma per la superficialità e la sbadataggine con cui trattiamo un oggetto che ci è utile fintanto che piove.
Poi, al diradarsi delle nubi, l'indifferenza ("Ma stamattina ero uscito con...?", "Eppure mi sembrava di aver preso...", "Ho come la sensazione di...").
Un giorno, ormai adulti, fuori da un negozio, nell'attimo esatto in cui afferrerete il primo ombrello a disposizione per evitare di infradiciarvi fino alla macchina, vi ritroverete in mano l'ombrellino con Minny e Topolino che da bambini vi copriva la testa mentre, mano nella mano del vostro papà, saltellavate nelle pozzanghere verso scuola. Poi, un pomeriggio, usciti di corsa dopo l'ultima campanella, la dimenticanza e la sparizione. E a casa giù lacrime.
Anche vent'anni dopo, a passo affrettato verso la macchina, avvertirete la sensazione di una lacrima sul viso.
In realtà sarà quella dell'ombrello, felice ed emozionato come il cane Argo al ritorno di Ulisse.
Il prossimo autunno non scordate in giro l'ombrello; altrimenti, i veri bastardi, sarete voi!