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venerdì 15 maggio 2015

Carpe diem

E poi un giorno smetti di vederli come nomi su un registro e li scopri adolescenti fragili.
Paure e insicurezze negate, nascoste, camuffate, comunque trattenute a stento anche dal più sborone di loro: "Sembro una mongolfiera", "Sono un'acciughina", "Guarda che braccia lunghe mi ritrovo", "Guarda che gambe corte che ho", "Perché Dio mi ha fatto gli occhi da rana?"... Sembra di sentirli autoflagellarsi in testa mentre all'esterno fingono sicumera. A volte basta un nonnulla per farli crollare emotivamente e non sai mai bene come comportarti di fronte a emergenze del genere.
Allora decidi di prevenire e quel giorno racconti di quando avevi la loro stessa età e di come il tuo naso passò nel volgere di una nottata dai tratti delicati dell'infanzia a quelli pachidermici dell'adolescenza. E racconti le giornate trascorse nel bagno di casa ad angolare lo specchio nell'illusione che la prospettiva degli altri fosse diversa dalla tua, che solo a te appariva quella proboscide impiantata in faccia da un dio malevolo e dispettoso. E racconti le notti passate in pose da contorsionista perché il pollice non si staccasse un attimo dalla punta del naso sollevata all'insù nella vana speranza di risvegliarti al mattino con un profilo francese.
E infine racconti della lenta e faticosa accettazione di te, dei tuoi difetti e di quanto tutto ciò ti abbia a lungo andare arricchito e reso più forte. Quindi ti zittisci e proietti loro uno sguardo solidale, di chi ci è già passato, di chi non è alieno alle loro sofferenze.
Silenzio... Commozione? Empatia? Abbattimento delle porte spazio-temporali e azzeramento di ruoli ed età?
No, solo la quiete che precede la tempesta di sfottò: "prof. Nasone", "Occhio che ci bacchetta col naso!", "Prof, può guardare altrove ché mi fa ombra?", "Elephant prof".
Da qualche giorno ho ricominciato a dormire con la punta del naso all'insù.

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