Il 17 marzo 1861, giorno della proclamazione del Regno d’Italia, ero nella mente del mio trisavolo che si commuoveva pensando ai discendenti che un giorno avrebbe avuto in un’Italia finalmente unita e indipendente.
Il 25 aprile 1945, giorno della Liberazione dai nazifascisti, ero nei pensieri di mio nonno che si rallegrava pensando ai nipoti che un giorno avrebbe avuto in un Paese finalmente libero e democratico.
Il 20 luglio 1969, giorno dell’allunaggio, ero nelle fantasie di mio padre adolescente che si chiedeva se il figlio che un giorno avrebbe avuto sarebbe mai andato ad abitare sulla Luna. O quantomeno a passarci una vacanza.
Il 9 maggio 1978, giorno dell’uccisione di Aldo Moro, ero nella pancia di mia mamma che piangeva preoccupandosi del figlio che stava per avere in un Paese dilaniato tra terrorismo e stragi di Stato.
Il 9 novembre 1989, giorno del crollo del Muro di Berlino, ero in camera mia a giocare alla guerra con i soldatini quando i Miei mi chiamarono emozionati davanti alla tele a vedere che la Guerra Fredda era finita.
L’11 settembre 2001, giorno dell’attentato alle Torri Gemelle, ero in camera mia a studiare la guerra per un esame universitario quando un amico mi chiamò al telefonino per dirmi di andare su internet a vedere che una guerra nuova stava per cominciare.
Il 9 luglio 2006, giorno del quarto titolo mondiale per la Nazionale italiana, ero in Irlanda con amici e tra una pinta e l’altra mi domandavo se il figlio che un giorno avrei avuto avrebbe mai goduto di una festa simile.
Il 17 dicembre 2015, giorno della nascita di Federico, ero in sala-parto e rimuginavo tra un’imprecazione e l’altra di Irene sul fatto che forse quell’evento non avrebbe cambiato il mondo in generale ma il mio particolare di sicuro.
Il giorno X di tal mese del 20equalcosa, giorno in cui sarà annunciata la fine della pandemia Covid-19, sarò sul divano nella stessa posizione di quando era stata annunciato l’inizio del tutto. Si spera non mummificato.
Nel caso ci penserà mio figlio.
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