Mai avremmo potuto credere che una cosa del genere potesse
succedere anche da noi.
Abituati come eravamo a confinare simili notizie nel
contesto patinato delle periferie hollywoodiane (villette senza recinzione,
macchina parcheggiata nel vialetto di casa, barbecue pronto in giardino in
vista della grigliata domenicale) di insospettabili borghi americani in cui la
banalità del male la fa invece da padrone.
Tre ragazze sequestrate per vent’anni dall’insospettabile
vicino di casa a Santa Monica (lo stesso che non mancava di elargire a tutti
tutte le mattine un cerimonioso Good Morning and have a nice day), un
ragazzo tenuto prigioniero per dodici anni in uno scantinato di Orlando dal
vecchio professore che aveva accettato di dargli qualche ripetizione di Storia
(ne era bastata una), due bambine inghiottite nella mansarda scarsamente
illuminata dell’autista del pullmino che tutti i giorni le accompagnava a casa
da scuola (tutti i giorni tranne quel giorno).
Ora la pratica del sequestro ossessivo e maniacale ha messo
radici anche in Italia.
È ormai conclamato infatti che da circa vent’anni un
erotomane incartapecorito e penalmente perseguito tiene in ostaggio un intero
Paese pur di non ascoltare per via giudiziaria quella verità, politica prima
ancora che legale, che da tanto tempo si premura di tener lontana da sé in un’artificiosa
bolla mediatica consacrata dal lavacro elettorale.
Un rapporto talmente morboso e autodistruttivo da aver
indotto la sindrome di Stoccolma in una parte degli stessi sequestrati, quasi a
non volersi liberare dall’abbraccio mortifero con l’onnipotente sequestratore.
E allora sarà ancor più bello il giorno in cui il
prigioniero prenderà coscienza di sé e troverà la forza per liberarsi dal rapitore,
come quando in America…
Ah, già: ma è l’America è l’America…
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