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sabato 2 aprile 2016

Incontri ravvicinati della terza età tipo

All'inizio era motivo di vanto e orgoglio.
Fare un giro col passeggino in paese per condividere con la comunità le gioie della paternità.
Per la serie: "Ebbene sì, questo è mio figlio!".
Ancora oggi è così quando incrocio amici e parenti.
Ma non con gli 'altri'.
Gli 'altri' sono tutti coloro che non ricordo minimamente chi siano.
Di solito signore sulla sessantina che evidentemente mi conoscono ma di cui non posso dire altrettanto (forse amiche della mamma che un giorno, dicesi uno, mi tennero in braccio da bambino o forse sconosciute dispensatrici di caramelle dei tempi dell'infanzia giunte oggi a elemosinare in cambio un barlume di confidenza).
Fatto sta che non le reggo più: interrompono la camminata ogni cinque metri e la dilatano all'inverosimile (a volte ho paura di tornare a casa ed estrarre dal passeggino Federico diciottenne).
Sbucano lungo il tragitto come zombie di The Walking Dead e si avventano sulla privacy per farla a brandelli.
Le mie risposte, in un primo momento puntuali e garbate, sono diventate nell'ultimo periodo leggermente più sbrigative e risolute, al punto che la conversazione si interrompe sempre dopo un solo scambio di battute.
"Ma che bello! Da chi ha preso?" "Da quello che ritira l'umido il mercoledì mattina".
"Com'è che si chiama?" "Ahmed. Di questi tempi non si sa mai".
"Quanti mesi ha?". "Boh. Comunque è ancora in garanzia".
"Mangia regolarmente?". "Eccome. Dovrebbe vedere poi quando è in chimica".
"Di che colore è la cacca?". "Pervinca con striature cremisi".
"Vi fa dormire la notte?" "Sì. Siamo noi che non facciamo dormire lui".
"Chi lo cambia?" "Nessuno".
E la passeggiata riprende.

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