Due anziani svizzeri portavano oltreconfine le armi per conto della 'Ndrangheta
Due categorie geo-anagrafiche fino a ieri sinonimo di pacatezza e neutralità improvvisamente trasformate dalla crisi in inquietanti emblemi di malvivenza e spregio della legge. Passi per l’aggettivo “svizzeri” che, a dire il vero, dona finalmente un po’ di vivacità antropologica a un popolo ricordato negli ultimi secoli solo per orologi a cucù, cioccolato fondente e formaggio bucherellato. Ma è quel sostantivo “anziani” a spegnerci il mezzo ghigno tra le labbra e a farci disperare per le sorti dell’umana specie. Sarà pure idealismo venato di ingenuità, ma immaginarsi due artritici vegliardi intenti in una scalata con in braccio kalashnikov e mitragliette Skorpion anziché accomodati sul sofà di casa col plaid di traverso sulle ginocchia provoca un certo effetto destabilizzante anche nel più cinico dei nichilisti cronici. E non bastano certo pensioni da fame e voraci ticket sanitari a giustificare una scelta di vita così borderline. Allenamenti solitari nel tiro delle bombe a mano tra i cavernosi anfratti delle montagne alpine invece di vocianti gare di bocce sull’affollato litorale della riviera romagnola. Sadici tiri a segno nei confronti di spaurite marmotte al posto delle rassicuranti passeggiate al parco con Fuffy al guinzaglio. Felpati inseguimenti nell’eterna lotta tra guardie e ladri in prossimità di un posto di blocco in sostituzione di boccaccesche partite a briscola al bar in compagnia degli amici. Nonni che si danno alla macchia e scordano il nipotino fuori dall’asilo invece di ottuagenari premurosi che alleviano i figli dalla fatica quotidiana della genitorialità. Fino a quando un giorno, dopo anni di senilità clandestina, alla famiglia sarà recapitata una lettera spedita dal carcere recante in calce le seguenti commoventi parole dalla grafia tremula e incerta: «In questi giorni di reclusione ho avuto modo di riflettere sul passato. Vorrei tanto vedervi un’ultima volta per accertarmi di aver combinato almeno una cosa buona nel corso della mia scapestrata esistenza. Mi piacerebbe portaste con voi una scodella di quella minestra al semolino che evoca in me nostalgici echi di cene familiari e quiete domestica. Ricordo ancora di quando il piccolo si divertiva ad affondarci soldatini e oggetti metallici dai contorni ben limati atti a segare sbarre di ghisa. Mi raccomando e a presto. So dove abitate (lo aggiungo solo a dispetto di chi ci vorrebbe tutti smemorati e rincoglioniti)».
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