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lunedì 24 agosto 2015

Della discrezionalità del concetto di spesa necessaria (o la zia infingarda)

Scena 1 (inizio mattinata)
Irene entra nel piccolo market del paesino di montagna tenendo per mano la nipotina di quattro anni che tanto ha insistito per fare la spesa con lei.
Io aspetto fuori con la Lilly al guinzaglio.
"Va beeene. Entri con la zia ma prendiamo solo le cose necessarie, quelle che servono. Capito?".
"Sì".
"Latte, detersivo, pane e qualche limone. Ok?".
"Sì".
"Niente caramelle, gelati o altre cose golosone che a quest'ora fanno solo bua al pancino. Intesi?".
"Sì".
"Quindi farai i capricci?".
"No".
Scena 2 (qualche minuto dopo)
La porta scorrevole del piccolo market si apre ed esce la nipotina a capo chino strascicando per terra una borsa della spesa per lei troppo pesante.
Arrivata all'altezza del mio ginocchio, molla la borsa e si avvinghia forte forte alla gamba.
Io comincio ad accarezzarle il capo e la Lilly mostra il proprio affetto leccandole le caviglie.
È evidente che qualcosa là dentro l'ha turbata.
Scena 3 (pochi istanti dopo)
La porta scorrevole del piccolo market si riapre ed esce Irene con un gigantesco sacchetto di patatine unte e sgranocchiose in mano (la confezione maxi tanto per intenderci).
Io e la Lilly ci guardiamo, ma prima di riuscire ad aprir bocca l'ingorda ci zittisce con le guanciotte piene e rimasugli di patatine a orlarle le labbra: "Non dite niente... crock crock... Per me... crock crock... era una spesa necessaria... crock crock".
L'abbraccio alla gamba si fa più stretto, le mie carezze più intense.
La Lilly comincia a leccare le mie di caviglie.

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