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martedì 29 agosto 2017

Che tu hai clacsonato?

Non essendo alla fine successo niente di male confido nella comprensione di Irene, ma questo outing lo devo proprio fare.
Direi che, più che una relazione platonica, si è trattato di una scappatella clacsonica.
Tutto ebbe inizio a fine maggio quando, nei pressi dei campi sportivi di via Bergamo, a pochi metri d’asfalto dall’ingresso di Treviglio, una ragazza a spasso col cane aveva risposto con un sorriso al mio clacsonare ripetuto.
Una ragazza già notata nei giorni precedenti ma nulla più di una comparsa sullo sfondo dell’abitudinario itinerario verso il lavoro.
Nell’occasione specifica la ragazza aveva scambiato il mio gesto nervoso, direzionato a quello della macchina davanti che non si muoveva nonostante la coda da mo’ si fosse sbloccata, come un apprezzamento grezzo ma insistito.
Tanto da tornare a cercarmi con lo sguardo e sorridermi il giorno dopo, e quello dopo pure, e quello dopo ancora.
Quasi un sesto senso le sussurrasse il mio sopraggiungere.
Oppure era la mia delicata clacsonata di qualche metro prima a suggerirle che stavo arrivando.
Non so, fatto sta che da persona educata quale sono non ho potuto che contraccambiare e aggiungere di volta in volta espressioni facciali a ravvivare una conversazione di fatto impossibile in quei pochi frangenti di rallenti tra il mio scorrere in auto e il suo attendere i bisogni del cane.
Un repertorio di smorfie e mimar di mani a significare “Come siamo eleganti oggi!”, “Mi sa che si mette a piovere”, “Guarda, mi attende una giornata…”.
Fino al giorno degli shorts inguinali, resi ancora più aderenti dalla posa di lei china sulle deiezioni del cane, che hanno provocato un’istintiva ancorché prolungata clacsonata da parte mia che ha a sua volta provocato la reazione risentita del tizio della macchina davanti che ha tirato il freno a mano ed è sceso a chiedermi spiegazioni.
Tempo di indicare all’energumeno la ragione della clacsonata e lei era sparita, lasciandomi solo in un misto di paura ed eccitazione che mai più voglio riprovare.
Anche se è ciò che mi ha salvato dall’energumeno: l’evidente eccitazione intendo…

mercoledì 23 agosto 2017

Casottino Club

Ogni anno trascorro almeno una settimana in montagna ospite di suoceri, cognate, nipotine, parenti acquisiti, Lilly.
Incantevole l'habitat, estraniante il contesto, paradisiaca l'atmosfera, ma non propriamente silenzioso l'appartamento.
"Toc toc! Manca tanto? Mi scappaaa!", "Zio, zio, ziooo! Ti svegli per giocare con noi?", "Scusa se interrompo la tua lettura: faresti un salto a piedi sotto la pioggia dal fattore all'altro capo del paese a prendere un po' di latte fresco?", "BAU, BAU, BAU, BAU!!!".
Allora da qualche tempo, verso sera, esco con la scusa della spazzatura e mi rifugio in un posto segreto che il resto della famiglia non sa.
Che è poi il casottino del parco-giochi dove al mattino i bimbi si divertono a imitare i grandi.
Tre assi di legno in croce, una tettoia all'altezza di un metro circa, una panca interna dove sedersi.
Sto lì al buio, rannicchiato, un po' scomodo, e penso ai pensieri miei.
Niente di che, ma come ricarica-energie è più che sufficiente.
Due sere fa s'è avvicinato un tizio, sulla quarantina pure lui, che mi ha confessato di avermi notato da almeno una settimana senza però darsi spiegazioni.
Tic nervoso all'angolo dell'occhio destro e faccia tirata parlavano da sé: un simile, un pari, un'altra vittima delle circostanze.
Allora, mosso da solidarietà, ho preso a raccontargli il perché e il per come di quel mio imboscarmi.
Alla fine saluti e conoscenti come prima.
Ieri sera, al solito, mi avvicino al casottino ma un mormorio di sottofondo mi mette sul chi va là.
Un altro passo e scorgo all'interno i contorni indistinti di più teste oscillare e una sussurare: "È lui! È l'iniziatore! Ssst! Forse vuole dirci qualcosa".
E io, investito di un ruolo non richiesto, mi son sentito in dovere di parlare: "Prima regola del casottino: non parlate del casottino. Seconda regola del casottino: non dovete parlare del casottino. Terza..."

giovedì 17 agosto 2017

Non chiedete ai bambini

Irene non fa il bagno se nel mare ci sono le meduse.
Irene chiede sempre ai bambini a riva se ci sono le meduse.
Non lo chiede al gestore dello stabilimento balneare, non al bagnino, non al vecchio lupo di mare col berretto da Tonno Nostromo seduto a prua di un vecchio scafo abbandonato.
Un bambino in riva al mare dirà sempre che ci sono le meduse.
Anche il bambino, come Irene, ha paura delle meduse ma allo stesso tempo ne è attratto: a quell'età rappresentano il mostruoso, l'ignoto.
Irene chiede anche a Federico (un anno e mezzo) se ci sono le meduse.
Lui non sa nemmeno cosa siano le meduse ma, tutto eccitato, ripete 'DUSE!" e indica un generico là nel mare.
Naturalmente Irene gli crede.
Io non chiedo mai ai bambini se ci sono le meduse; mi tuffo e basta nel mostruosamente ignoto.
Irene nessun bagno, io diversi.
Irene nessun oooh di stupore dei bambini, io diversi.
Irene nessuna abrasione, io diverse.

lunedì 14 agosto 2017

Sensibili

Mare, solleone, pelli sensibili.
Scordato a casa l'ombrellone fantozziano da spiaggia libera (ero lì lì per fare inversione a U in autostrada quando Irene mi ha fermato: "In qualche modo ce la caveremo").
Che poi lei la fa facile: problemi di scottatura non ne ha (mezza calabra è).
Io e Federico invece ci contendiamo la Crema 50 Protezione Bimbi.
Appena in spiaggia, facciamo gara a chi la sfila per primo dalla borsa-mare (una specie di 'bandierina' per non ustionarsi).
Tutto è lecito: spintoni, diversivi, guardalàincielochebello!
La quantità che serve per il suo corpicino è appena sufficiente a schermare il mio naso.
Di questo passo finirà presto.
Irene dice di sacrificare il naso così da lasciare a Federico un po' di crema in più.
Io dico che gli è già andata bene che non prendo il sole integrale.

domenica 6 agosto 2017

Qualis pater, talis peto

"Tuo figlio, quando fa la cacca, ti somiglia proprio".
Non so cosa Irene intendesse dire, ma io l’ho preso come un complimento.

giovedì 3 agosto 2017

Ci vediamo più tardi

Da dove parcheggio a dove lavoro ci sta un tratto a piedi.
Lungo quel tratto affaccia un'Onoranze Funebri.
Ogni mattina vedo al suo interno gente indaffarata alle prese coi primi 'clienti' della giornata.
A volte però, raramente, i titolari se ne stanno inoperosi sull'uscio con le mani dietro la schiena in perfetto proverbio cinese: "Siediti lungo la riva del fiume in attesa del cadavere etc.".
Quando questo capita, sento i loro occhi addosso stile check-up completo.
Allora accelero il passo e fingo anche una corsetta tipo "Che volete da me? Non vedete quanto sono in forma?".
Mi riprometto addirittura per il pomeriggio un paio di addominali che non farò mai.
L'altro giorno sono inciampato praticamente davanti al negozio, complici l'andatura affrettata e un cubetto di porfido sporgente.
Con la coda dell'occhio, poco dopo l'impatto, ho visto i titolari avvicinarsi.
Non so se per darmi una mano o il colpo di grazia.
Nel dubbio, mi sono alzato di scatto e ho ripreso a camminare.
Senza neanche voltarmi ho detto loro: "Non è ancora il momento".