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domenica 27 dicembre 2015

Gravedanza

Dieci cose (imparate sulla mia pelle) che un compagno senza pancione non dovrebbe mai dire alla compagna col pancione:
- "Ma poi torni normale?";
- "Sbaglio o in mia assenza hai ingoiato un'anguria intera?";
- "Siamo sicuri non siano due gemelli, che hanno invitato degli amici, che si son presentati con delle tipe, che...";
- "Mi sa che se ti giro intorno mi viene il fiatone";
- "Tu non lo sai amore, ma ogni tanto mi fermo in anticamera mentre cerchi di alzarti dal divano. Rimango lì, non visto, mentre divincoli le mani in aria e scalci gli arti inferiori per riguadagnare la posizione eretta. Proprio come quella tartaruga delle Galapagos di quel documentario... Ti ricordi? Ma sì, dai: grossa e lenta, si era capottata e non riusciva più...";
- "A furia di aprire e chiudere le ante degli armadietti in cucina ti sono venuti degli avambracci alla Van Damme";
- "A volte, quando siamo in casa, scompari all'improvviso con una scusa e perdo le tue tracce per qualche minuto. A un certo punto mi preoccupo e vengo a cercarti. Chiudo gli occhi, drizzo le orecchie e seguo il rumore di sgranocchii e ruminamenti vari. Quella volta nello sgabuzzino, nascosta con le macine in mano tra il ventilatore e il folletto, mi ero preoccupato un po' di più";
- "Posso essere sincero? Da quando hai quel po' po' di pancia russi peggio di un marinaio serbo ubriaco";
- "La scorsa notte mi sono alzato per andare a bere. Non lo faccio mai, ma a cena avevamo mangiato parecchio salato. Rimembri? Fatto sta che, prima ancora di accendere la luce, ho sentito il frigor tremare e bisbigliare: Fai che non sia lei, fai che no sia lei...";
- "O signùr quate scene! La prossima gravidanza la faccio io".

mercoledì 23 dicembre 2015

Mutando

"Sbottono o trattengo?".
Atroce dubbio quando, a casa di altri, scappa la cosa grossa ma qualcuno c'ha già pensato.
C'ha già pensato e c'ha tenuto a farlo sapere con una vistosa sgommata sulla parete interna della tazza. Di quelle fossilizzate che anche lo scovolino a un certo punto sbotta: "Bòna, rinuncio!".
Residuo organico che, se avesse la parola, si comporterebbe da stronzo (appunto) e direbbe: "Adesso giustificami tu agli altri".
Legittima risposta: "E che c'entro io?".
Prevedibile reazione degli altri: "Ma sei stato l'ultimo ad andare in bagno!".
Pericolosa premessa a supporto della prevedibile reazione: al momento del bisogno avevate simpaticamente sottolineato ad alta voce che v'apprestavate a DEFECARE (il termine altisonante associato alla cacca strappa sempre un sorriso collettivo e vi ricorda quanto siete simpatici).
Le alternative a quel punto sono:
- sbottonare ed evacuare senza poi dover nulla giustificare (rischio: accettare che per il resto della serata - probabilmente delle serate - voi sarete quello che "autografa" le maioliche);
- sbottonare, evacuare, ma una volta di là subito precisare: "Allora, io ho cagato ma prima di me..." (rischio: introdurre un fattore di tensione per il resto della serata che vi inimicherà per sempre il padrone di casa e gli altri ospiti ormai diffidenti l'un dell'altro. Unico serafico l'autore della sgommata: "Che fanno ora? Passano al setaccio le chiappe?");
- sbottonare, evacuare e qualcuno al pubblico ludibrio additare ("Allora, io ho cagato ma prima di me..." e puntare il dito contro il bambino timido che non aveva parlato per tutta la serata e che probabilmente non parlerà mai più in vita sua);
- tornare dal bagno senza aver evacuato, fingersi beatamente scaricato, ingaggiare in realtà una silenziata battaglia col proprio sfintere e salvare così la faccia (ma non le mutande).

sabato 19 dicembre 2015

Alla casetta dell'acqua

Un passante che mi scorgesse da dietro in quei frangenti potrebbe rimanere basito.
Io che di spalle muovo convulsamente le mani tipo deejay in bamba matta. Tipo insegnante di chimica che saetta tra fiale e alambicchi per cucinare amfe. Tipo operaio alienato che saltella da destra a sinistra e da sinistra a destra alla catena di montaggio. In realtà non sto più nella pelle quando alla casetta dell'acqua non c'è nessuno ed entrambi gli erogatori sono tutti per me. In una postazione inserisco la tessera e nell'altra le monetine. E poi godo come un riccio a infilare bottiglie (1 - 1,5 - 2 litri) e a scegliere getti (lisci veloci o lenti gasati). Improvviso le soluzioni a seconda dell'ispirazione del momento. Tengo d'occhio le due fonti e non mi concedo tregua. Infilo, tiro via, infilo, tiro via, infilo, infilo, tiro via. Dum da dum da dum dum da. Una sinfonia di schizzi che è pura adrenalina. Fino a quando arriva l'immancabile vecchietta con una bottiglietta da 0,5 (raggrinzita e ingiallita, la bottiglietta dico) a sgranchirsi la voce e reclamare il turno. Allora mi scema il sentimento. Libero una postazione e finisco il rabbocco nell'autismo più totale. Gesto cavalleresco da parte mia, sorriso di circostanza da parte sua. Silenzio assoluto a parte l'acqua che scende. Fine nello stesso istante dei rispettivi getti. In tempo per sentirmi sibilare "rompipalle" e lei bofonchiare "drogato".

lunedì 14 dicembre 2015

Tatanka

Il mio vicino albanese è adorabile: educato, gran lavoratore, sempre allegro, generoso.
Ha una sola pecca: conosce tre parole tre della lingua nostrana nonostante i non pochi anni di residenza in Italia.
È stato infatti tra i primi ad arrivare una ventina d'anni fa (all'epoca avrà avuto quarant'anni), ma da allora zero progressi nell'arricchimento del bagaglio lessicale.
Le tre parole tre sono:
-"Bellaaa gionnata!" urlato al mondo quando ci incrociamo sul pianerottolo la mattina prima di andare al lavoro (la variante "Gionnata di medda!" fa capolino solo in caso di pioggia o nebbia);
-"Grazzzie" infilato in ogni conversazione non implicante per forza forme di cortesia: "Allora, come sta?" (n.b. gli do del lei) - "Grazzie" - "Tutto bene a casa?" - "Grazzie" - "Sua moglie?" - "Grazzie"; oppure: "Scusi il disturbo a quest'ora. Non ha per caso del sale da prestarmi?" - lui scatta in cucina a prendere il sale (perché per capire capisce benissimo), poi torna alla porta e, prima che io riesca ad aprir bocca, mi congeda con un "Grazzie";
-"E adessso bbuona bottiglia di vinooo!" pronunciato con la beatitudine di chi già se la pregusta a qualsivoglia ora pomeridiana una volta terminata la giornata in cantiere.
Possono essere anche le 16, ma l'incontro sulle scale inizia immancabilmente col suo "E adesso buona bottiglia di vinooo!".
Al che gli faccio presente che forse è un po' prestino per bere un goccio.
Lui mi sorride a 32 denti (facciamo 22 visto che gliene mancano una decina qua e là), accenna con lo sguardo a un ripensamento e infine s’irradia: " Grazzie!".

venerdì 11 dicembre 2015

Metti di tornare una sera al consultorio

Ripresa del corso per futuri genitori dopo pausa forzata causa psicologa sbarellata.
Nuova psicologa che a questo punto se ne dovrebbe stare nell'angolino schiacciata e invece no.
Dopo collage da riviste, disegni sul pancione e ombre cinesi alla parete (questa ve l'ho risparmiata), l'altra sera è toccato alla messinscena (o "drammatizzazione" come l'ha chiamata lei).
Compito: rappresentare quanto appreso nel corso dei precedenti incontri.
Organizzazione: maschi da una parte e femmine dall'altra.
Prove generali (15 minuti):
- donne: sagra del pettegolezzo, grasse risate e due minuti due per abbozzare uno straccio di copione.
- uomini: 15 minuti (facciamo 14: primo minuto passato a sbuffare, imprecare e maledire) di brainstorming per tirare insieme qualcosa di decente e dimostrare di essere stati attenti.
Rappresentazione vera e propria:
- donne: tre quarti d'ora di puro avvizzimento testicolare in cui le quasi mamme hanno ricostruito nei minimi dettagli tutte le tappe del parto dalla prima contrazione al primo vagito (a metà siamo usciti per l'aperitivo e non se ne sono neanche accorte).
- uomini: messinscena (4 minuti e 35) stravolta rispetto al canovaccio originario (nessuno si ricordava più niente, complici gli aperitivi), improvvisazione totale (compresa la scena del concepimento), poche idee e confuse (che Marco-ossitocina e Manuel-adrenalina a un certo punto cominciassero a insultarsi non era contemplato. N.b. Avevano cominciato al bancone attorno alla questione filosofica Rossi/Marquez).
Nostro però l'epilogo più bello (questo sì previsto sin dall'inizio): i due papà che avevano interpretato fino a quel momento i futuri genitori diventano all'improvviso Maria e Giuseppe, il bambolotto di circostanza viene spacciato per il Bambin Gesù, Marco e Manuel si trasformano nel bue e nell'asinello (e continuano a guardarsi in cagnesco), io mi infilo una specie di festone in testa (fregato uscendo dal bar) e faccio la stella cometa, il più brillo entra in scena nei panni del pastore ubriaco e lo interpreta da dio (deve limitarsi a seguirmi senza inciampare, fermarsi davanti alla Sacra Famiglia, girarsi verso il pubblico e biascicare Buon Natale).
Silenzio. Pubblico apparentemente freddo. Poi le ragazze scoppiano a ridere.
La nuova psicologa ci fa i complimenti perché abbiamo aiutato le nostre compagne a produrre serotonina e quindi a rilassarsi (noi: "Sì, ecco, brava, esatto, proprio quello!").
Ce la pulleggiamo, ci diamo amichevoli pacche sulle spalle (tranne Marco e Manuel) e non vediamo l'ora passi una settimana per l'incontro successivo (anche perché i Negroni sono davvero buoni, lì, a Caravaggio, tra il consultorio e il santuario).

martedì 8 dicembre 2015

Metti invece una sera non al consultorio

Vista la sospensione del corso pre-parto (la psicologa sta andando dalla psicologa), ieri sera ne abbiamo approfittato per una capatina all'ospedale che dovrebbe far da sfondo alle nostre doglie (e sottolineo nostre).
Un incontro propedeutico allo scopo di rasserenare i futuri genitori facendo conoscere loro spazi e tempi di fine-gravidanza.
"Ben venga, - bofonchiavo alla guida in direzione Bergamo - non sia mai che riesca a vincere la mia storica avversione verso i luoghi di cura".
("Hai detto qualcosa?"
"No amore, stavo ripetendo come un mantra: utero dilatato senza paura!").
In passato mi è capitato più volte di svenire al solo sentir parlare di aghi, corsie e padelle.
È successo che parenti convalescenti dovessero alzarsi dal letto con le poche energie in corpo per cedermi il posto prima che la bassa pressione mi trascinasse a terra.
Anni fa, nelle vesti di postino stagionale, consegnai una raccomandata all'ospedale di Treviglio nelle mani della portinaia, la quale pensò bene di firmare la ricevuta con una simpatica penna a forma di siringa e io...
"Prego, prego" - una voce calda e gentile mi strappa da pericolosi déjà vu e mi riporta ai momenti del sopralluogo - accomodatevi": aula di ricevimento ovattata e accogliente, equipe schierata e sorridente, presentazione delle diapositive efficace ed esauriente.
Zero sudori freddi, nessuno sbiancamento, paura esorciz...
Sul maxi-schermo parte all'improvviso una compilation mixata (featuring Dario Argento) di urla materne, gambe divelte e creature imbrattate di placenta che mi provoca nell'ordine: senso di vertigine, ricerca disperata di una liquirizia in tasca (la caramellina di
scorta, quella che tengo sempre in fondo al porta-occhiali), forze che vengono meno, porta-occhiali mellifluo e irraggiungibile, io che guardo supplichevole Irene, lei che mi fulmina e sibila "Non qua, non ora!", io che vedo sempre più annebbiato, lei che scuote la testa, io che mi ripiglio nell'aula vuota a incontro ormai finito e cerco subito di capire quanto tempo è passato.
Meno di quanto sperassi: Irene è immobile al mio fianco col muso lungo e la pancia ancora gonfia.
Mi sa che mi tocca la sala-parto.

sabato 5 dicembre 2015

Metti una terza sera al consultorio

Al terzo incontro al consultorio entro rassegnato con la speranza che almeno psicologa e gestanti se la raccontino per due ore e lascino in pace noialtri inseminatori.
Avevo già in mente un numero con la pallina da tennis che ci pensavo da una settimana e che avrebbe strappato un "oooh" di approvazione agli altri maschi presenti.
Naturalmente niente di tutto ciò: varcata la soglia strabuzzo gli occhi su padri genuflessi a imbrattare il pancione materno con pennarelli, tempere e tinture varie.
Scopo dell'attività: disegna tuo figlio.
Pasticci cromatici, linee sghembe, contorni indefiniti, autentici obbrobri artistici.
Le mamme in piedi che se la ridacchiano e i compagni a terra che se la bestemmiano.
Costretti a lavori di fantasia che l'ultima volta era stato alle elementari quando avevano portato a casa un "appena appena suff." che era stato motivo di strigliata a casa da cui un fiume di lacrime e lo sberlone del papà e la corsa in camera e a letto senza cena. Un trauma insomma.
Per fortuna il puntuale ritardo con cui io e Irene ci presentiamo a lezione mi esenta dall'incombenza.
Dall'incombenza di scarabocchiare ma non da quella di commentare i capolavori altrui.
La psicologa (credo mi abbia preso di mira) mi accoglie col solito sorriso alla It: "Visto che arrivi ora, dacci un parere ponderato sulle opere dei tuoi amici!".
Il dilemma divampa spontaneo: cazzaro e solidale coi maschi o serioso e ruffiano con le femmine?
Capace che Irene mi abboni gli incontri successivi!
Grondo sudore, non so che fare, secchezza delle fauci, l'attesa cresce, schiudo le labbra...
Dio benedica la permeabilità della pelle umana!
La psicologa si accorge all'improvviso di aver rifilato colori invasivi per la cute in grado di raggiungere il feto.
Fuggi fuggi al pronto soccorso e seduta sciolta anticipatamente.
P.s. dell'ultima ora: mamme e bambini tutto bene, psicologa meno, corso sospeso, padri-artisti delusi ché alla fine al mio giudizio ci tenevano, io di più ché c'ho ancora quel numero con la pallina in testa.

mercoledì 2 dicembre 2015

Metti un'altra sera al consultorio

Caravaggio, consultorio per coppie in odore di genitorialità, secondo incontro.
Il maschio ha guidato per tutto il viaggio ripetendo: "Non capisco perché hai insistito tanto a voler tornare. Vedrai che stasera non ci sarà nessuno! La scorsa volta si è parlato di tutto fuorché del parto. C'han fatto tagliare figure dalle riviste patinate e assemblare un collage sul tema "In attesa di". Per poi "venderlo" agli altri come il battitore d'asta di Tele Elefante (quello asmatico e rantolante che non crede per primo ai quadri-fuffa che cerca di rifilare).
Il maschio ha parcheggiato, sbattuto la portiera e camminato a testa bassa fino al portone d'ingresso ribadendo: "Non capisco perché hai insistito tanto...".
Il maschio s'è voltato, è tornato alla macchina e ha aiutato la compagna col pancione a scendere scandendo: "...a voler tornare. Vedrai che stasera...".
Il maschio si è riavviato verso l'entrata, s'è girato poco prima di varcare la soglia e ha girato la maniglia sillabando: "...non ci sarà NES-SU-NO!".
Poi lo shock: le luci artificiali della stanza, il tepore dei corpi costretti in pochi metri quadri, il sorriso clownesco alla It della psicologa, il sovrapporsi concitato delle voci femminili, il silenzio assordante delle comparse maschili.
Lì sullo sfondo, imbalsamati spalle al muro, molli come pouf sgualciti, personaggi silenti di uno spettacolo scritto da altre.
Per tutta la durata dell'incontro alzano ogni tanto lo sguardo, si fissano negli occhi e comunicano telepaticamente: "Almeno tu potevi rimanere a casa! A quel punto anch'io... C'ė mancato il coordinamento, c'è mancato...".
Poi tornano a giocare con la pallina da tennis, una per ciascuno, che avevano cominciato a maneggiare già la volta prima.
Pensavano servisse per una qualche forma di massaggio propedeutico al parto, tipo quelle cose ayurvediche orientaleggianti viste in chissà quale film.
Solo ora capiscono le reali intenzioni della psicologa: le aveva distribuite perché loro, i maschietti, ci giocassero un po' durante le sedute.
Facendole scivolare, schiacciandole al suolo col palmo della mano, roteandole in cerchi concentrici, fissandone con sorriso ebete la superficie spelacchiata, seguendone i rimbalzi (piccoli, millimetrici, impercettibili... quanto basta per non provocare l'occhiataccia fulminea della partner).

domenica 29 novembre 2015

Metti una sera al consultorio

L'altra sera abbiamo partecipato presso il consultorio di Caravaggio al primo incontro per coppie che stanno per avere un figlio.
Impressioni in ordine cronologico:
- le gravide, anche se non si conoscono, si salutano euforiche come amiche da una vita (una volta diventate mamme torneranno a detestarsi come solo le donne sanno fare);
- i gravati, anche se non si conoscono, si guardano sconsolati come vittime da una vita (una volta diventati papà continueranno a solidarizzare come solo gli uomini sanno fare);
- a dire il vero, inizialmente, il maschio già seduto accoglie con un ghigno strafottente il maschio appena arrivato (per la serie: "T'han fregato anche a te, eh?");
- solo in un secondo momento la smorfia si spegne e subentra l'occhiata vacua di chi realizza: "Cazzo rido che sono qua pure io?";
- l'occhiata vacua esplode come una bolla quando il maschio avverte l'eco del giro di presentazione (funzionale al ripiglio la gomitata stizzita della compagna): sa che tra poco tocca a lui ma non sa minimamente cosa dire (paranoia inutile: sarà lei a monopolizzare l'intervento, limitandosi a nominare il compagno, il ruolo da lui avuto nella fase riproduttiva e quello di quella sera in quanto autista);
- obbligati a parlare dalla psicologa di gruppo, i maschi sfoggiano il repertorio che tanto li rassicura: battuta a sfondo sessuale con grassa risata degli altri, compassionevole ciondolio all'unisono dei capi femminili, sorriso paralitico della psicologa dal sottinteso neanche troppo velato: "Scimmioni antropomorfi che non siete altro, non vi evolverete mai...";
- il "Come? Sono già passate due ore!" innalzato al cielo dal coro femminile è controbilanciato dal "Quanto cazzo sono durate queste due ore?" cacciato all'inferno dalla compagine maschile (squallida la scusa usata dagli uomini nel corso di tutta la serata - "Sto tenendo d'occhio le contrazioni" - per giustificare l'orologio guardato ogni due per tre);
- il saluto finale in cerchio tutt'in piedi mano nella mano uniamo-i-nostri-respiri-siamo-una-cosa-sola strappa una lacrima agli occhi femminili e... strappa una lacrima anche a quelli maschili.

lunedì 23 novembre 2015

Voyeurismo on the road

Quando sono in macchina e vedo nella vettura davanti una coppia che si agita parecchio, spengo la radio e mi diverto a interpretarne gesti e parole.
Ingrasso più di Robert De Niro nel ruolo di Al Capone, ammattisco più di Johnny Depp nei panni di Jack Sparrow, fingo nonchalance come Leo Di Caprio per l'ennesimo Oscar non ricevuto.
Mi immedesimo alla grande insomma.
Tutto quello sbracciarsi, riportare le mani sul volante, tacere all'improvviso e riprendere a litigare stimola la mia fantasia meglio di 100 puntate del Trono di Spade.
È come essere al drive in, solo che il telo gigante è il cruscotto, la macchina è in movimento e tu sei il doppiatore della pellicola anziché spettatore passivo.
Meglio di un 3D, una specie di realtà aumentata in cui ti ritrovi a varcare lo schermo ed essere uno dei personaggi, anzi tutti i personaggi.
Infatti, come un medium invasato dagli spiriti, mi calo nelle diverse parti e alterno, cambiando la voce, le battute di lui alle risposte di lei.
Dentro ci metto un po' di biografia personale e un po' di cose lette sui libri o viste alla tele.
A volte mi prende così bene che cambio percorso, seguo la macchina esagitata e prolungo il tragitto di qualche centinaio di metri rispetto a dove devo andare.
Altre volte mi invento una storia talmente realistica da autosuggestionarmi e temere per la conclusione. Sono le volte in cui accelero, metto la freccia e supero senza guardare perché non voglio sapere come va a finire.
Altre volte ancora contribuisco alla pace della coppia nel momento in cui, tramite specchietto retrovisore, si accorgono entrambi della mia pantomima, si interrompono, si guardano complici e si girano all'unisono con l'inconfondibile mano a conchetta e annesso labiale: "Cazzi tuoi, nooo?".
Loro scoppiano a ridere, io ci rimango un po' male (non era il finale previsto).

venerdì 20 novembre 2015

Vade in retro!

Da quando abbiamo preso la Golf, la mia vecchia C3 s'è riempita di bozzi e ammaccature.
Non è somatizzazione da primogenita trascurata (non credo le macchine ne soffrano) né bullismo dell'ultima arrivata nei confronti dell'anziana di garage (non credo le macchine lo pratichino).
La C3 s'è riempita di bozzi e ammaccature perché la Golf ha in dotazione il segnalatore acustico di ostacoli e distanze.
Che significa parcheggi e retro alla cazzo di cane che tanto il bip sfruculia-timpani avvisa in tempo quanto manca e quando fermarsi.
Ottimo, fico, hip hip urrà per la tecnologia!
Peccato che la stessa nonchalance sborona con cui ora posteggio la Golf scatti in automatico anche quando manovro la C3 che segnalatore non ha.
Come se tutte le vetture del mondo, anche le più datate, dovessero ormai avere di default lo scandaglio anticozzamenti.
Come quando un'invenzione è talmente scontata e logica che pensi sia sempre esistita (sul serio c'è stata una fase nella storia dell'umanità in cui si andava al fosso a pulire i panni?), che non potevano non averci pensato prima (la lavastoviglie è nata col fuoco e la ruota, vero?), che l'umanità era ben trista cosa senza quella diavoleria (quindi mi stai dicendo che una volta si poteva telefonare solo da casa e cabine? Cabi-cosa scusa?).
L'inconfondibile schianto del botto mi ricorda che non è così.
Lo ricorda a me e ai vicini di casa che lasciano la macchina sotto casa come faccio io.
Hanno imparato sulla loro carrozzeria a temere le mie partenze e i miei arrivi.
Per fortuna tengo un segnalatore acustico vivente nella persona del mio vicino albanese: conosce a memoria i miei orari e s'appoggia a tenermi d'occhio sulla ringhiera del balcone (stile bancone del bar; sarà per questo che ha sempre in mano un bicchierozzo di jagermeister, anche a colazione).
Appena sono a rischio impatto comincia a bestemmiare sempre più velocemente fino al porcone finale, un ultrasuono rivolto a Dio, che mi fa capire di essere al limite.
Lì io mi fermo, lui rientra.
Ci rivedremo a sera.

domenica 15 novembre 2015

Maialeutica

Visita di famiglia a un defunto.
Un nugolo di persone in silenzio, qualcuno che rompe il ghiaccio, ricordi sussurrati, commozione.
Anche le nipotine, immerse fino a dieci minuti prima nei giochi di casa, sembrano capire per la prima volta che c'è un momento nella vita in cui il gioco si interrompe. Definitivamente.
A un certo punto la più piccola mi affianca mentre sono in raccoglimento davanti al feretro.
La guardo e penso a quanto possa essere confusa in mezzo a tanti musi lunghi.
Chissà quali domande insolubili le ronzano per la testa.
Mi prende la mano, fissa la bara (o almeno quello che riesce a vedere in punta di piedi) e con gli occhi rossi sul punto di evacuare mi chiede "Pecché siamo qui? Quando tutto finisce?".
"Belle domande. Soprattutto la seconda. Sai, non siamo noi a deciderlo".
"Voglio sapere quando tutto finisce!".
"Sei troppo piccola per capire".
"Dimmelo!".
"Allora, da dove comincio... C'è chi dice che ce ne andiamo quando il Signore lo decide e chi dice che ce ne andiamo quando il nostro corpo smette biologicamente di funzionare. Pensa che nell'antichità credevano...".
"Zio, bastaaaa… Voglio solo sapere quando tutto finisce che comincia Peppa Pig!".

mercoledì 11 novembre 2015

B'ava o non b'ava?

La scorsa notte, posseduto dal muco, ho cercato di afferrare i kleenex che si trovavano sul comodino di fianco a Irene.
Per non svegliarla, ho inarcato braccio e avambraccio in modo da non sfiorarle la testa e raggiungere l'agognato fazzoletto di carta.
Parevo Nureyev al momento topico della morte del cigno.
Lei però, con l'istinto romantico che solo le donne conservano anche nel sonno, m'ha afferrato l'arto con uno scatto e, sempre senza aprire gli occhi, l'ha avvinghiato a sé come nel più tenero degli abbracci.
Una borseggiatrice delle effusioni, una Pippo Inzaghi dell'area di amore, una velociraptor delle coccole.
Lungi da me tentare di sfuggirle (avete presente la reazione di un velociraptor risentito?).
Un intero albeggiare avviluppati come un muschio al proprio lichene.
Ancora stamattina, nel momento in cui l'ho congedata in punta di piedi socchiudendo la porta, portava stampato in volto il sorriso di chi per tutta una nottata s'è sentita amata e protetta.
Peccato non esserci quando si volterà a respirare il tepore del dov'ero, aprirà lentamente gli occhi e scorgerà una viscida scia di lumaca sul cuscino.

venerdì 6 novembre 2015

Comunque tacco 12!

A volte alzo lo sguardo all'improvviso dalla cattedra o mi giro di scatto dalla lavagna per coglierli in flagrante.
E becco sempre due o tre maschi intenti a fissarmi con la linguetta penzoloni all'angolo della bocca e le dita congestionate a schiacciare i pulsanti di un joystick virtuale che non hanno ma che tanto vorrebbero stringere tra le mani in quel momento.
Allora li fisso a mia volta, aspetto che si ripiglino e dico loro: "Per quanto vi impegniate, son più duro a morire degli zombie dei vostri videogame. E io sono ancora poca cosa rispetto ai mostri che vi attendono là fuori". Quindi con un cenno del capo indico la strada oltre la finestra di classe.
(Più difficile con le ragazzine che si immaginano di cambiarti i vestiti, di scegliere gli accessori e che, se richiamate, ti rispondono "Ancora un attimo prof: ballerine o tacco 12?").

lunedì 2 novembre 2015

In viaggio con zanzà

In queste mattinate di tragitto in macchina verso il lavoro spunta puntuale dopo la rotonda del Rivoltella una zanzara tigre che mi ronza nell'abitacolo per tutto il tempo del viaggio.
Non mi assalta da fuori, viene da dentro.
Non se ne esce subito appena accendo la macchina, ma aspetta sempre un paio di giri del motore per materializzarsi da un posto indefinito sotto il cruscotto.
Quasi si svegliasse con calma, stiracchiasse le alette e si dedicasse quindi alla sua innata propensione a rompere i coglioni.
I primi giorni ho tentato non so quante volte di centrarla, ma - sarà stato l'occhio attento alla strada sarà stata la scaltrezza dell'ospite - non l'ho mai beccata.
Sono passato allora alla modalità "convivenza forzata".
Tempestiva, ogni pomeriggio, al rientro dal lavoro ritrovo la zanzara in macchina pronta a farmi le feste come un cane al padrone.
Insomma, giorno dopo giorno mi ci sono affezionato: spengo la radio perché non si sovrapponga al ronzio, scarto il primo posto libero e parcheggio più in là per stare ancora un po' in compagnia, mi preoccupo se tarda a comparire.
Poi, una sera su internet, la conferma di quanto temevo: la mia amica ha le ore contate visto che il primo freddo autunnale ne segnerà il destino.
La sola idea mi ha levato il sonno.
Allora ieri mattina ho compiuto un estremo atto di amore.
Braccio teso sul volante ore 3, ho attirato la sua attenzione sul lembo di pelle scoperta per concederle ciò che non le avevo ancora concesso: planare, adagiarsi, infilare e succhiare.
In un attimo l'altra mano ha mollato le ore 10 e... SBAM!
Fine tormentata (per me) di una lenta agonia (per lei).
Ho guardato d'istinto nello specchietto per scorgere una lacrima furtiva e a stento mi sono riconosciuto: un ghigno surreale, il ghigno di chi finalmente l'ha beccata, la stronza!

sabato 31 ottobre 2015

Fisime

Se il naso è una fisima lontana nel tempo come l'adolescenza, le dentatura è abbastanza recente.
Mesi fa, mentre rispondevo a Irene davanti allo specchio, ho realizzato all'improvviso che la linea inferiore dei denti è screziata mentre quella superiore è interrotta nel mezzo da una bella fessura che neanche le porte scorrevoli dell'Ikea.
Da quel giorno sono meno sicuro di me nelle conversazioni ravvicinate e tendo perciò a parlare a bocca semichiusa per nascondere le imperfezioni della cavità orale.
Da quando però mi sono accorto che il confronto ne risentiva (l'interlocutore di turno, che poco o nulla capiva dei miei mugugni, mi mollava a metà chiacchierata accampando scuse), son ricorso a un trucco vecchio come il mondo ma sempre efficace: un esercizio di pura immaginazione grazie al quale mi convinco di avere una dentatura perfetta, con tanto di smeraldo sberluciccante stile popstar esibizionista incastonato nell'incisivo destro in alto.
Giusto per infondersi un po' di coraggio in situazioni vissute altrimenti con disagio.
L'autoipnosi ha raggiunto livelli tali da indurmi a credere che anche gli altri comincino a guardarmi diversamente. Proprio ieri m'è parso di sentire commenti sottovoce del tipo "Certo che è proprio verde brillante" e "È così grande che copre quasi tutto il dente".
Più tardi a casa, al momento della toilette serale, la delusione: nessuna pietra preziosa ma una vistosa foglia di prezzemolo fossilizzata chissà da quante ore.

martedì 27 ottobre 2015

Brutti pensieri

Ieri in piscina ho assistito a una scena forte che ha attirato l'attenzione di molti: una donna sulla quarantina ha alzato la voce nei confronti del compagno che si rifiutava di uscire dalla vasca nonostante le insistenze di lei.
"Sarà dieci minuti che ti chiamo! Ti ricordi o no che abbiamo un impegno? E tu lì: fermo, inebetito, neanche una parola" e vai di cazziatone a non finire.
Le donne intorno a far cenno di no con la testa, noi maschietti a solidarizzare muti in ragione di quella volta che ci eravamo trovati nella stessa imbarazzante situazione.
A me era capitato una quindicina d'anni fa: mare della Romagna, bagnino che invita i bagnanti a riva perché sta arrivando il traghetto e un'improvvisa erezione che mi blocca in acqua a pochi passi dal bagnasciuga.
Non che avessi visto o fantasticato chissà cosa; il corpo si era messo in moto da sé (forse un sussulto di adolescenza, boh) e aveva prodotto un evidente rigonfiamento del costume impossibile a nascondersi fuori dal pelo dell'acqua.
Da cui la mia decisione di disobbedire agli appelli e restarmene a mollo per tutto il tempo necessario a evitare il pubblico ludibrio.
Ma più insabbiavo i piedi nel fondale, più il bagnino urlava e più la gente si girava. Il tutto con il traghetto carico di turisti in avvicinamento.
La cosa, anziché provocare l'afflosciamento dei boxer, mi induceva in uno stato di agitazione-eccitazione che finiva coll'alimentare l'effetto pesce palla del mio bacino.
Si trattava di una situazione indipendente dalla mia volontà che solo un atto estremo di concentrazione avrebbe potuto risolvere.
Scartata l'ipotesi dell'autoerotismo lenitivo (efficace sì ma passibile di penale), ho cominciato a pensare a cose brutte che facessero da vasocostrittori.
Son passati un po' di anni ma ricordo in ordine sparso di aver immaginato: la più racchia del paese, l'uscita a vanvera di Zenga a Italia '90, una camera ardente con tutti in lacrime intorno al morto, le interiora di un gatto sulla carreggiata, un esame di merda all'università, Gasparri nominato ministro e altre sciagure del genere.
Funzionò; non rammento con quale pensiero specifico, ma funzionò.
Allora ieri mi sono permesso di passare a bordo piscina e suggerire al malcapitato di concentrarsi su qualcosa di brutto che il resto si sarebbe risolto da sé.
Ha socchiuso gli occhi per qualche secondo, si è mosso verso la scaletta e l'ha salita con passo sicuro. Troppo sicuro...
Mentre le donne intorno hanno cominciato a far cenno di sì con la testa, io mi son messo ho a urlargli: "Più brutto! Ancora più brutto!".

giovedì 22 ottobre 2015

Repetita iuvant?

L'altro giorno in biblioteca ho notato che il mio avviso delle ripetizioni, appeso appena un mese fa, stava riscuotendo un enorme successo.
Nel senso che le striscioline col mio numero di telefono erano praticamente tutte strappate.
Poi però mi son ricordato che da un mese a questa parte non mi ha contattato nessuno, ma proprio nessuno.
Ho fatto due più due: a far sparire le linguette di carta erano stati quelli che nel frattempo avevano appiccicato allo stesso muro i PROPRI avvisi delle ripetizioni.
Un caso emblematico di concorrenza sleale e di circonvenzione d'utente.
Allora mi son fatto giustizia da me: tornato in biblioteca, ho asportato a mia volta le striscioline rivali.
Una volta a casa il dubbio ha preso il sopravvento: forse ė gente che ha bisogno, forse non c'entra niente con il boicottaggio che ho subito, forse non ho subito nessun boicottaggio e mi sono inventato tutto.
Allora ho cominciato a chiamare i numeri strappati e, in preda ai sensi di colpa, a concordare delle ripetizioni sullo scibile umano: matematica, scienze, italiano, inglese, ornato, perfino religione.
Mio figlio non è ancora nato e già lo attende un sacco di ripetizioni.

sabato 17 ottobre 2015

Arriva il mio!

Grazie a Dio Irene dorme come un ghiro affetto da narcolessia.
Sono i momenti in cui non mi cazzia (cioè, non ci giurerei non lo faccia nei sogni).
Soprattutto adesso che è incinta e l'ormone facile le svalvola l'umore.
Chiaro, io ci metto del mio per meritarmi i gavettoni d'insulti.
Tuttavia credo esageri.
Ad esempio non ritengo di avere responsabilità nel fatto che l'adorato basilico la nausei o che i lacci delle scarpe diventino ogni giorno più irraggiungibili.
Eppure la colpa è puntualmente mia.
Come se facessi comunella con le piante aromatiche o mi divertissi a gonfiarle il grembo di nascosto.
"È normale. Stai tranquillo. Dopo le passerà...".
Normale un cazzo.
Questa ci prende gusto e anche dopo mi metterà il rimbrotto di default.
Allora in queste notti, fresco di reprimenda e certo di non interrompere il sonno profondo, le tamburello sul pancione in alfabeto morse: RINFORZI. PRESTO. ATTENDO RINFORZI!

sabato 10 ottobre 2015

Beghe con braghe

Da un po' di tempo rimando di minuto in minuto il momento mattutino del risveglio.
Non è letargia o pigrizia, è paura dell'appuntamento con le braghe.
Una goffaggine iniziale, di cui io per primo ridevo, è diventata nel tempo un'ossessione ansiogena.
Sbrigate toilette e colazione, torno in camera e m'appropinquo finto sereno alla sedia su cui sono piegati i pantaloni. Li ho preparati amorevolmente la sera quasi a rendermeli amici. Invano.
Da qualche mese mi viene infatti difficile centrare a colpo sicuro il buco corrispondente alla gamba che vorrei tanto infilare.
Afferro i calzoni, allargo ben bene l'apertura, mi concentro, prendo la mira e... manco, barcollo, scivolo, m'appoggio, oscillo, deflagro.
Le chiappe al vento e Irene che sotto le lenzuola se la ghigna di gusto.
A questo punto della mia precaria esistenza ho davanti le seguenti alternative:
frequentare un corso accelerato al Circo Togni sul tema: "Equilibristi nella vita di tutti i giorni. Perché la quotidianità è un funambolismo senza rete";
presentarmi al lavoro in pigiama (sperando che le pantofole col faccione di Animal dei Muppets non distraggano troppo gli studenti);
andare a nanna con i jeans addosso (con tanto di risvoltino, ben inteso);
tatuarmi le gambe per intero in simil flanella col rischio che brinino d'inverno e grondino d'estate;
infilarmi al mattino qualcosa che mi crei meno impedimento tipo kilt scozzese (ma non risolverei il problema delle chiappe al vento).

martedì 6 ottobre 2015

Ritrovamenti

A ogni fine estate, quando i primi ragazzi rientrano a scuola per il recupero dei debiti, mi rendo conto che quella che per noi - noi 'matusa' intendo - è una semplice stagione di afa e sudore, per loro è molto di più: un accaldato tourbillion di incontri, esperienze e crescita.
Me ne rendo conto perché a volte stento a riconoscerli rispetto a quando li avevo congedati un paio di mesi prima al momento della consegna delle pagelle.
Oltre che un cambiamento fisico, repentino e imprevedibile come sa essere a quell’età, si tratta di un mutamento della personalità che li fa più vissuti e, in un certo senso, 'adulti'.
Allora è sempre un'emozione, dopo mezzora di domande e chiacchiere, scoprire di aver scambiato completamente persona.
Io li ritrovo più grandi, loro più rincoglionito.

giovedì 24 settembre 2015

Mietitrebbia

"Di cosa avete parlato ieri sera tu e Marco durante il concerto?".
"Non lo so".
"Come 'non lo so'? Avete cominciato a parlare al terzo pezzo e non avete più smesso fino alla fine! Allora? Di cosa avete parlato?".
"Non lo so".
E davvero non lo so.
Non è un modo per tagliare corto con la morosa e non riferirle i dettagli della chiacchierata con Marco.
È che della chiacchierata con Marco non ho capito un'emerita cippa: un gigantesco buco nero che ha inghiottito minuti e musica!
Il tuo amico lo sa che quel gruppo ti piace mentre a lui è indifferente.
Sa che è da un po' che vuoi sentirlo dal vivo e s'è aggregato con la discrezione di chi si sente terzo incomodo (rispetto alla musica, non alla morosa).
Ma questo non gli impedisce già dopo un paio di canzoni di attaccarti una pezza chilometrica di cui percepisci solo alcuni monosillabi - il sound è troppo forte - e a cui non puoi che rispondere con una serie casuale di "Ah sì?", "Oh!", "Davvero?", "Che coraggio!", "E poi?", "Ma chi l'avrebbe mai detto", "D'altronde". Speri solo che c'azzecchino in un qualche modo con il filo del discorso.
Normalmente lo ascolteresti e cercheresti anche di consigliarlo al meglio, ma in quel momento vuoi goderti solo l'esibizione e null'altro.
Invece lui no: imperterrito, continua a scambiarti per il confessionale del Grande Fratello e bla e bla e bla.
Finito il repertorio delle frasi fatte, passi a quello dei termini in libertà.
Di fianco a te una bocca a cui hanno tolto il sonoro.
Non stai capendo una mazza fionda di ciò che il tuo amico va sfogando, ma non osi fermarlo perché a nessuno piacerebbe sentirsi dire: "Facciamo che ti zittisci un attimo?". Men che meno se è 'il tuo amico'.
E lui è un fiume in piena, e le tue repliche ad minchiam anziché scoraggiarlo sembrano carburarlo.
E allora smetti di dargli corda limitandoti ad alzate di spalle ed espressioni facciali.
E lui pare soffrire il tuo silenzio e comincia a muovere le labbra più lentamente, sempre più lentamente... ma solo per recuperare fiato e riprendere il monologo più concitato di prima.
Fino a quando rallenta davvero, si tacita, sentenzia: "Insomma, è tutto".
E tu questo lo distingui chiaramente, lo odi distintamente, perché lo sillaba sulle note finali dell'ultimo pezzo. Poi ti guarda e ti chiede a bruciapelo: "Come mai a un certo punto mi hai risposto 'mietitrebbia'?".

sabato 19 settembre 2015

Una sapida lettura!

Allora, in breve: per partecipare a un concorso ho partorito questa raccolta di aneddoti.
Se quanto letto in questi mesi vi ha strappato almeno un sorriso, vi invito a cliccare sul link http://ilmiolibro.kataweb.it/, mettere nel motore di ricerca il titolo del libro e lasciare un commento (o anche un semplice "Mi piace").
C'è solo da registrarsi e nulla da pagare.
Altrimenti amici di blog come prima ;-)

giovedì 17 settembre 2015

Scoperte

Non so in che momento della notte avvenga, ma avviene.
Immancabilmente.
Posso anche legarmele al polso, ficcarmele strette strette nei boxer o avvinghiarmici intorno come un involtino primavera, ma a un certo punto della notte le lenzuola finiscono tutte dalla sua parte.
Posso anche dormire in stato di semiveglia per cogliere l'attimo e strattonarlo sul nascere, ma la transumanza ha luogo lo stesso.
Perché tutto capita quando meno te l'aspetti, in un millisecondo, con una capacità predatoria che la donna deve aver sviluppato nel corso dei secoli.
Ho chiesto lumi al mio collega di Scienze (vittima, naturalmente, dello stesso problema) per capire se alla base ci sia quantomeno una spiegazione razionale.
Lui ha allargato le braccia e mi ha risposto che "Volendo, sì... ci sarebbe, ma è come trovarsi di fronte al flusso delle maree a Mont Saint Michel o alla risalita della corrente da parte dei salmoni che vanno a morire a distanza di anni nello stesso luogo in cui erano nati. Cioè, puoi anche razionalizzare, ma il fenomeno è talmente affascinante e inspiegabile da meritare una muta contemplazione. Ogni spiegazione logica lo rovinerebbe".
Ho già il titolo del documentario: la marcia dei piumini.

domenica 13 settembre 2015

Allonsanfàn

"Anche lo zio non li sta mangiando!".
Terribile la sensazione dello sguardo degli altri adulti addosso perché non si sta dando il buon esempio alle nipotine davanti a un piatto di fagioli affogati nell'aceto.
Ma il rifiuto vince la volontà: il pensiero corre ai lontani giorni dell'asilo quando kapò vestite da suore imponevano di finire il piatto pena il divieto di alzarsi e correre a giocare in cortile.
"Son tutte cose che esistono e quindi volute da Dio" dicevano.
E io rispondevo con nausea, forchetta tremante, compagno obeso di fronte che chiedeva già il bis, io che faticavo con il primo boccone, deglutizione forzata, rigurgito a stento trattenuto, borlotti fatti scivolare a terra o nascosti in ogniddove (le mie tasche, in pratica, scoreggiavano).
Chiamateli capricci, ma non si dovrebbe impedire ai bambini di fare i capricci: è la loro natura.
È come se io andassi da quelle suore ormai anziane e le obbligassi controvoglia a peccare, che ne so, di iracondia o accidia, rassicurandole che "son tutte cose che esistono e quindi volute da Dio".
Allora oggi, a seconda del menù previsto, fomento le bambine a far valere i propri diritti e mezzora prima della tavola le instrado alla disobbedienza civile.
Le frasi più belle di questi giorni sono state: "L'esofago è mio e me lo gestisco io", "Più brasato, meno passato!", "Fate la mortadella, non l'insalata di serra", "Mettete dei liquori nei nostri cannoli" (questa, ammetto, un po' interessata).

giovedì 10 settembre 2015

Fobie

Di notte ho sempre avuto paura di due cose.
Una è l'uomo nero.
Chiamatelo come volete, ma sin da piccolo mi terrorizza l'idea di aprire gli occhi nell’oscurità e scorgere sull'uscio della porta qualcosa dai contorni sfumati.
L'altra sono i fulmini con annesso PATUMTANBAM!
Una vera e propria fobia.
I temporali notturni mi levano il sonno di dosso e mi fanno tremare come una foglia.
Non mi spaventa tanto il baccano (c'è il ronfo di Irene che lo sovrasta) ma il lampo in quanto tale.
Penso sempre che il prossimo sarà il mio, quello che s'intrufolerà tra i pertugi delle persiane, zigzagherà alla mia ricerca (perché è proprio me che cerca!) e porrà fine alla mia esistenza come in un cartone animato: ZUFF!
Allora, sin da piccolo, tendo a rannicchiarmi nell'angolo più sicuro della casa (o almeno, che io ritengo tale) e aspetto che la burrasca passi.
Quella della scorsa notte è stata particolarmente violenta, tanto che nell'angolo-rifugio m'è parso di veder accoccolata un'ombra indefinita tutta tremolante.
Mi son fatto coraggio e mi son seduto a fianco per l'intera durata della bufera. Dopo qualche minuto, più per infondermi forza che per altro, mi son ritrovato a dire: “Vedrai che tra poco sarà tutto finito”.
Una risposta m’ha gelato il sangue: “Magari… È capace di andare avanti a russare fino a domattina”.

lunedì 7 settembre 2015

Eccolo!

sabato 5 settembre 2015

Ragazzi di vite

Adesso anche quando esco in ciabatte a prendere la posta c’ho paura che da un momento all’altro spunta fuori la paletta del vigile da dietro un cespuglio e mi tocca fare l’alcol-test. Che da quando mi hanno fermato l’ultima volta ogni occasione mi sembra buona per ritirarmi la patente. Anche se uno all’autogrill di Fiorenzuola una volta mi ha detto che soffiando forte sballi la macchinetta e non ti beccano. Peccato che al mio amico Venzo l’hanno fregato lo stesso (è anche vero che se si levava il vomito da dosso forse aveva più possibilità). Per me e i miei soci questa storia dell’etilometro sta diventando peggio che andare a messa alla domenica. Sarà che la nostra compagnia si è sempre distinta in paese per preferire alle ragazze la grappa, che almeno quella alla fine non ti tradisce. Fatto sta che da un mese a questa parte ci tocca giocare alla pagliuzza più corta per scegliere quello che non deve bere e portare in giro gli altri al sabato (che in cantiere la settimana sembra non finire mai). Con questo non voglio mica dire di andare in giro bevuti fradici a combinare casini. Mi pare solo che la legge di adesso c’ha dei limiti bassi e “poco rispettosi del metabolismo specifico di ciascun organismo” (l’ha detto alla televisione uno che ha studiato). E sono proprio d’accordo ché un tipo come il Michelotto io l’ho visto centrare col piscio una fede nuziale a due metri di distanza al matrimonio del Giando, che le portate erano quella cosa tra una damigiana e l’altra. Insomma, roba che se esci a mangiare una pizza al salamino piccante e ci bevi dietro una birra capace che ti levano le chiavi della macchina per chissà quanto tempo e ti saluto lavoro e mutuo della casa. Il Peto, che è un altro mio amico, a questo proposito dice sempre: “In medio stat virtus”; ciò per dire che non siamo mica una compagnia di pirla (anche se è stato il primo che gli hanno portato via la patente).

mercoledì 2 settembre 2015

Memoria lunga (e collo torto)

L'altro giorno abbiamo passato la giornata presso un agriturismo in montagna.
Prima di metterci a tavola, ho fatto un giro con le nipotine a vedere i recinti con gli animali.
Arrivati a quello degli anatroccoli, ci siam dedicati al solito giochetto di dar loro da mangiare e ci siam disposti coi fili d'erba in mano in attesa dei becchi affamati.
Immancabilmente però i giovani pennuti saltavano me che ero nel mezzo e si nutrivano solo dalle bambine. Anche a cambiar posto la situazione era la stessa: puntualmente ignorato.
Allora ho pensato che gli animali han la memoria lunga e si passan la parola.
Festa dell'oratorio di Arcene, metà anni '80, io timido frugoletto convinto a partecipare a un gioco di quelli, appunto, da oratorio: corsa con gli anatroccoli.
Praticamente a ogni partecipante era affidata una bestiolina da tenere in braccio, appoggiare per terra al momento del via e condurre al traguardo costringendola a correre tra i propri passi incalzanti.
Sarà stato che il mio stentava a muoversi, sarà stata l'umiliazione di ritrovarmi ultimo con gli occhi della gente addosso, saranno stati gli sghignazzi in sottofondo, ecco che un passo più nervoso dei precedenti centra in pieno l'anatroccolo e pone fine alla sua corsa: collo spezzato, corpo inerme, kaputt.
Vergogna, senso di colpa, pianti degli altri bambini intorno, disapprovazione generale (a parte la stima imperitura dell'A.C.A. - Associazione Cacciatori Arcene), sguardo carico d'odio dei pennuti sopravvissuti.
Lo stesso sguardo che ritrovo nel recinto all'agriturismo, come se nel mondo dei palmipedi si fosse diffusa la leggenda dello 'sterminatore d'anatre'.
Ci son rimasto male; le nipotine ridevano, imbeccavano, accarezzavano ma io ci son rimasto male.
Indovinate cosa ho ordinato a tavola (le bimbe, a oggi, mi negano il saluto).

giovedì 27 agosto 2015

SovraPINsiero

Me ne sono sempre abbastanza fregato delle conseguenze.
Ma due consigli della nonna continuano a distanza di anni a rimbombarmi nelle orecchie: "Non fare il bagno subito dopo aver mangiato ma aspetta almeno tre ore" e "Nascondi con la mano il pin del bancomat mentre lo digiti".
Li ho fatti talmente miei che nelle due situazioni sopracitate mi comporto praticamente da automa in modalità 'proteggi te stesso'.
A invitarmi in acqua potrebbe essere anche Belèn sventolante il reggiseno, le opporrei comunque un educato "Tu intanto fatti una nuotata, tra due orette arrivo. Anzi, tra un'ora e tre/quarti per la precisione".
Ma soprattutto è nel secondo caso che il mio istinto di conservazione dà il meglio di sé appena scorgo qualcuno alle spalle: il corpo si fa aderente allo sportello, la mano destra copre a conchetta la pulsantiera, le code degli occhi si muovono a tergicristallo, le meningi si concentrano, l'indice sinistro pigia i bottoni.
Operazione portata a termine, missione compiuta, tessera ritirata, segretezza tutelata!
Stamattina il signore dietro di me si è giusto permesso di darmi un consiglio: "Dovrebbe solo evitare di ripetere a voce i numeri mentre li digita".

lunedì 24 agosto 2015

Della discrezionalità del concetto di spesa necessaria (o la zia infingarda)

Scena 1 (inizio mattinata)
Irene entra nel piccolo market del paesino di montagna tenendo per mano la nipotina di quattro anni che tanto ha insistito per fare la spesa con lei.
Io aspetto fuori con la Lilly al guinzaglio.
"Va beeene. Entri con la zia ma prendiamo solo le cose necessarie, quelle che servono. Capito?".
"Sì".
"Latte, detersivo, pane e qualche limone. Ok?".
"Sì".
"Niente caramelle, gelati o altre cose golosone che a quest'ora fanno solo bua al pancino. Intesi?".
"Sì".
"Quindi farai i capricci?".
"No".
Scena 2 (qualche minuto dopo)
La porta scorrevole del piccolo market si apre ed esce la nipotina a capo chino strascicando per terra una borsa della spesa per lei troppo pesante.
Arrivata all'altezza del mio ginocchio, molla la borsa e si avvinghia forte forte alla gamba.
Io comincio ad accarezzarle il capo e la Lilly mostra il proprio affetto leccandole le caviglie.
È evidente che qualcosa là dentro l'ha turbata.
Scena 3 (pochi istanti dopo)
La porta scorrevole del piccolo market si riapre ed esce Irene con un gigantesco sacchetto di patatine unte e sgranocchiose in mano (la confezione maxi tanto per intenderci).
Io e la Lilly ci guardiamo, ma prima di riuscire ad aprir bocca l'ingorda ci zittisce con le guanciotte piene e rimasugli di patatine a orlarle le labbra: "Non dite niente... crock crock... Per me... crock crock... era una spesa necessaria... crock crock".
L'abbraccio alla gamba si fa più stretto, le mie carezze più intense.
La Lilly comincia a leccare le mie di caviglie.

venerdì 21 agosto 2015

Sentite coglionanze

Irene deve aver deciso, senza dirmi niente prima, di impegnarsi di brutto e superarmi nel nostro personale campionato delle figure di melma.
Eravamo seduti sui gradoni del sagrato di una chiesetta di montagna abbastanza sperduta e dall'aria trascurata.
Sarà stato il contesto o non so cosa, ma mi sono fatto all'improvviso più mogio e pensieroso.
Al che Irene ad alta voce: "Oh, che aria da funerale!".
Nello stesso istante si è spalancato il portone della chiesa e un nugolo di persone vestite di nero ha cominciato a passarci accanto con passo lento e affranto.

martedì 18 agosto 2015

Creature dagli abissi

La prossima volta che escogitate un piano, assicuratevi che non ci sia nessuna sbreccatura nelle piastrelle.
Eppure il mio piano era perfetto.
Semplice ma perfetto.
Subire un attacco intestinale in piena discesa dal rifugio alpino (ecco, questo non era esattamente calcolato), ricordarsi di un albergo-locanda a metà percorso, stringere nel frattempo le chiappe fingendo interesse e partecipazione alle chiacchiere altrui, resistere dall'accelerare il passo in prossimità della suddetta locanda, dire con nonchalance "Voi proseguite pure che vi do un vantaggio sennò ciao", varcare la soglia con altrettanta nonchalance e buttare lì al gestore "Un grappino di quelli forti, grazie. Ah, il bagno?", dirigersi a passo via via più nervoso verso il luogo indicato, accertarsi di essere soli, entrare nella toilette, lodare Dio (o chi per esso) per aver inventato la turca, calarsi le braghe, assumere la posizione-uovo e toccare il cielo con un...
Scorgere la lenta emersione di uno scorpioncino dall'oscurità di una piastrella sbreccata del pavimento, indietreggiare alla cieca, perdere l'equilibrio, cercare con le mani un punto d'appoggio, immaginarsi già spacciati col sedere incastrato nella turca e l'orrida creatura in inesorabile avvicinamento, trovare un appiglio nella cordicella delle emergenze, aggrapparvisi con tutto il peso del proprio corpo, far scattare un suono acuto che neanche Flipper quando chiamava gli amici delfini, determinare il precipitoso intervento del gestore, degli ospiti dell'albergo, dei compagni di camminata richiamati dall'allarme echeggiato per tutta la valle, sentire il primo piombato nella toilette prorompere in un disgustato "Oh signùr che odùr...".
Provare imbarazzo (profondo imbarazzo), rassicurare i soccorritori al di là della porta balbettando qualcosa, scorgere lo scorpioncino indietreggiare a singhiozzo (quasi se la ghignasse) e inabissarsi da dove era venuto, uscire dopo mezzora di training autogeno davanti allo specchio: "Là fuori c'è gente intelligente che ascolterà e capirà, là fuori c'è gente...", sapere comunque che là fuori nessuno ti crederà ma sarai nei racconti orobici tramandati di generazione in generazione (notte stellata, tende battute dal vento, fuoco acceso, tutti intorno, la vecchia guida alpina a raccontare aneddoti) quello che 'l s'era cagat adoss.

giovedì 6 agosto 2015

Pizza connection

"Pronto, ciao ma'..."
"Pronto pizzeria?"
"...volevo chiederti un piacere"
"Sì, pisseria Sahara, a disposisione..."
"Dimmi pure. Di che piacere si tratta?"
"Vorrei ordinare..."
"Visto che Irene non c'è in questi giorni..."
"...una marinara, una pugliese e un kebab"
"Va bene, signore. Per che ora vuoi consegna?"
"Fammi indovinare..."
"Facciamo alle..."
"...mi stireresti un paio di magliette?"
"Otto e mezza"
"E va bene. Ma prima o poi dovrai imparare!"
"Ok capo. Otto e mesza puntuale".
Da un paio di giorni le linee telefoniche del mio condominio devono essersi fuse tra loro complice il calore.
In particolare l'amplesso di cavi pare essersi consumato tra il mio apparecchio e quello del kebabbaro al piano terra.
Ad ogni cornetta alzata è un sovrapporsi di chiacchiere private, ordinazioni di pizze, resoconti giornalieri, richieste di condimenti extra, confidenze intime, indicazioni stradali per l'addetto alle consegne, sfoghi personali, intraducibili imprecazioni in arabo quando la linea è particolarmente disturbata.
A parte il fastidio del bombardamento di trilli all'ora di cena, spero che la situazione si risolva prima che mia mamma sfrecci in motorino a consegnare kebab sulle strade della Bassa e soprattutto prima che Ahmed, sulla soglia del portone, mi chieda: "Ehi capo, ti devo stirare anche mutande?".

martedì 4 agosto 2015

Efelidi

L'altra mattina mi è passata l'infanzia davanti agli occhi.
Nel senso che in spiaggia, davanti a me, un bambino pel di carota piagnucolava e si contorceva scongiurando la mamma di fargli sparire dalla faccia le efelidi.
Non ha detto proprio "efelidi", ma ha sputato con rabbia tutti i sinonimi evidentemente usati dagli "amichetti" per prenderlo in giro: lenticchie, pamole, cacche di mosca, croste di polenta... lentiggini insomma.
E l'ho immaginato morire dentro mentre gli altri, credendosi spiritosi, retrocedevano da lui con le braccia a croce manco fosse un appestato; l'ho visto chiedere timidamente il primo appuntamento alla compagna di banco e sentirsi rispondere in modo gelido "Il giorno in cui ti cadranno quelle cose dalle guance"; l'ho riconosciuto nelle grinfie dei bulletti della scuola mentre questi lo tenevano fermo giocando a unirgli con il pennarello le macchie in faccia a comporre la parola "MOSTRO".
E mi sono rivisto fuggire dalle risate altrui e correre dalla mamma a chiedere come mai mi avesse fatto così; ho ricordato le notti passate a spalmarmi la crema Biancardi perché cadessero quelle cose dalle guance; ho rivissuto le scuse mattutine per non andare a scuola e incrociare i miei aguzzini.
Allora ho vinto la riservatezza, mi sono avvicinato al bambino e ho sussurrato: "Tranquillo, non credere a quello che ti dicono: siamo persone normali".
Sarà stato il logoro cappellino Cre '98 che avevo in testa, gli occhiali da sole montatura verde pisello allegato di chissà quale settimanale per adolescenti, la protuberanza psichedelica del naso rosso peperone in una faccia cosparsa di crema, la maglietta poco rassicurante di Arancia Meccanica, le infradito Hello Kitty prestatemi da Irene quella mattina... fatto sta che il ragazzino s'è messo a frignare più forte e la mamma a fulminarmi con uno sguardo del tipo "Grazie. No davvero, grazie".

sabato 1 agosto 2015

Stigmate

Io non mi abbronzo, mi scotto.
Non mi rosolo la pelle, me la ustiono.
Più modello porchetta di Ariccia che bronzo di Riace.
Se al mare mostrassi le chiappe chiare, passerei le ore successive all'ospedale.
Quando Dio ha distribuito la melanina, io ero evidentemente in bagno (prima ero stato al pub).
Ogni anno perdo la mia personale battaglia con il sole nonostante tutte le precauzioni del caso: strato mattutino di crema 50 protezione bambini prima di scendere in spiaggia, secondo strato di crema 50 protezione bambini una volta sceso in spiaggia, richiamini di crema 30 ogni oretta, spruzzatina spray di crema 15 su lobi delle orecchie, naso, estremità in genere, ombrellone, cappellino con visiera, maglietta rigorosamente bianca, bagno dopo il tramonto.
Ma il sole è paziente, infido, sa aspettare e cogliere in fallo l'umano che ha osato sfidarlo.
Se per Achille il punto debole era stato il tallone non immerso dalla madre nello Stige all'atto di renderlo immortale, per me è il palmo della mano destra che impugna le creme e che mi scordo infine di impomatare.
Lì il sole sa che deve colpire.
Attende solo che mi distragga: tipo momento abbiocco, mano destra rilassata e aperta, linea d'ombra che si sposta, palmo esposto alla mercé dei raggi.
Seguono in ordine d'intensità a disturbare la pennica (e rovinare la vacanza): momentaneo tepore, progressivo arrossamento, fastidioso sfrigolio, intenso bruciore, comparsa di bolle stile dorso di rospo, stigmate in cui le signore della spiaggia scorgono l'effigie di Padre Pio (i bambini la Peppa Pig). Accorrono, s'affollano, si danno di gomito, sussurrano, fanno ombra (ormai tardiva).

giovedì 30 luglio 2015

Stress on the beach

Ho sempre dormito in spiaggia pubblica.
Mai avuto problemi a schiacciare un pisolino mentre tutti intorno fanno rumore.
Almeno fino a oggi, quando ho visto con i miei occhi cosa succede nei paraggi di chi si assopisce.
Un vicino di salviettone, in piena pennichella digestiva, ha nell'ordine rischiato:
- che un ombrellone mal conficcato e sollevato dal vento gli si piantasse come un paletto di frassino nel cuore (e meno male che non era girato a pancia in giù);
- che un manipolo di ragazzini esagitati lo ricoprisse di sabbia per trasformarlo nella Cima Coppi della pista delle biglie;
- che il cane simpatico a tutti e mascotte ufficiale della spiaggia lo scambiasse per orinatoio pubblico;
- che il bagnino palestrato e abbronzato non gli issasse il pattino sulla faccia preso com’era dal fare il piacione agli occhi delle bagnanti;
- che i bocciofili della domenica lo centrassero in pieno dopo aver lanciato il boccino a una manciata di granelli dalla tempia ("Che faccio? Sposto?" "No, lascia. Al massimo fa da sponda");
- che un pallone Supertele modello "chi se ne frega delle leggi della fisica" gli rimbalzasse in faccia dopo essere stato scagliato alla viva il parroco dal solito simpaticone che gioca ancora a fare le asinate di quando era ragazzo (grazie a Dio non s'è svegliato e ho potuto recuperare la palla).

venerdì 24 luglio 2015

Le abitudini vecchie del signore

"Il re è nudo! Il re è nudo!".
È proprio vero che i piccoli scorgono ciò che i grandi hanno smesso di notare.
Solo che, invece della fanciullesca esclamazione della fiaba di Andersen, mezzora fa un bambino petulante sulla battigia m'ha così esposto al pubblico ludibrio: "Il signore sta pisciando! Il signore sta pisciando!". 
Il tutto mentre ero a mollo nel mare ad altezza pube.
Sono seguiti nell'ordine: io che ci metto un millisecondo di troppo a capire che ce l'ha con me, gli adulti dei paraggi che m'investono di sguardi severi (ipocriti!), io che oppongo un flebile "Non è vero! Non è vero!" smentito dall'espressione di beatitudine in volto.

martedì 21 luglio 2015

Belén dico

Mi è sempre stato difficile chiedere scusa.
Questione di carattere, cocciutaggine, orgoglio.
Tipo Fonzie in Happy Days.
Mi risulta ancor più difficile quando mi viene rinfacciata una colpa di cui non mi sono minimamente accorto: una sbadataggine, un'omissione, una gaffe involontaria.
Mi diventa impossibile se dal piano del reale si passa a quello dell'immaginario.
Intuisco di aver "combinato" qualcosa quando al mattino Irene si volta bruscamente nel letto per sfuggire al bacio del buongiorno. Per poi rigirarsi di scatto e rivolgermi un livoroso "Stronzo!".
Piantata sul sagrato il giorno delle nozze? Schiaffeggiata in mondovisione? Tradita tra le gambe di Belén?
Non so cosa possa aver sognato quella notte, ma il fatto che io non le chieda scusa al risveglio (ci mancherebbe!) non fa altro che peggiorare la situazione di quella che sarà una luuunga giornata.
Allora, ancora mezzo intontito dal sonno, con le cispe sugli occhi e uno "stronzo" che mi rimbomba in testa, mi trascino verso il bagno arrovellandomi su che gusto perverso ci provi (Belén dico).

domenica 19 luglio 2015

La signora in pogo

10 motivi per cui capisci che l'età avanza e sarebbe meglio restarsene a casa a guardare le repliche della "Signora in giallo" invece di bazzicare i concerti delle feste estive come facevi in gioventù:
- non transigi sull'orario di partenza e ti affidi ciecamente al navigatore rispetto a quando partivi in clamoroso ritardo (tipo "Beviamo l'ultima e andiamo che il concerto è già iniziato") non sapendo neanche bene dove cazzo dovevi andare;
- cerchi pazientemente parcheggio con tanto di segnalatori di posizione mentre una volta abbandonavi l'auto in posti impensabili al punto che a fine serata ti aspettava il vigile per farti i complimenti;
- mentre ti avvii a piedi alla ricerca dell’area-festa uno sbarbatello dello staff ti dà non interpellato una dritta: “Guardi che la balera Marechiaro è da un’altra parte”;
- se il concerto è in ritardo di 5 minuti cominci a fischiare manco ti stessero rubando la vita (smetti quando ti accorgi che a farlo siete solo tu e un sessantenne un po' più in là: riconoscete il richiamo, vi cercate con lo sguardo, vi fissate per un istante e comunicate telepaticamente: "La morte sta venendo a prenderci e questi dilapidano il tempo che ci rimane");
- nel caso la musica fosse appena appena alta, ti giri sperso tra la folla verso il fonico a urlare: “Scusaaaaaa… scusaaa… Qua, io… scusa, puoi abbassare un pochetto?”;
- al pezzo in cui si battono  le mani all’unisono molli per primo causa fiatone pre-infartico; 
- nell'attimo esatto in cui comincia il pogo ti chiudi a riccio sperando di non essere risucchiato mentre all'epoca non vedevi l'ora di fiondarti nella calca per poi esibire a mo' di medaglie lividi ed escoriazioni;
- i pezzi che un tempo sapevi a menadito ora sono nella tua voce un susseguirsi di “Nana nana nanana” (tutti, indistintamente);
- allorquando scorgi uno del pubblico scalare il palco scarti subito l’opzione “sballone in vena di stage diving” e cominci invece a sbraitare: “L’Isis! L’Isis! L’Isis è tra noi!”;
- a fine concerto speri non seguano gli immancabili bis perché ad ossessionarti in testa è un pensiero: tornare a casa in tempo per aiutare Jessica Fletcher a trovare l'assassino.