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lunedì 28 maggio 2018

Auguri te salutant

Come nella scena iniziale di American Beauty, quando il protagonista da poco sveglio si masturba sotto la doccia e sostiene essere il momento più esaltante della sua intera giornata, pure io raggiungo l’apice al mattino.
Non titillandomi l’ammennicolo però.
Mentre faccio colazione da solo - il resto della dorme ancora – butto un occhio alle notizie e ai social.
Puntualmente Facebook mi ricorda quale dei miei contatti compia gli anni.
In quel momento, biscotto inzuppato in mano, decido se fare o no gli auguri.
Pochi secondi per influire sulla felicità altrui. O almeno mi pare.
I criteri possono essere i più diversi: l’umore post-risveglio, una sincera empatia verso il festeggiato o una benemerita indifferenza, se il festeggiato si era a sua volta premurato di scrivere sulla mia bacheca al mio di compleanno, etc.
Fatto sta che in quei frangenti mi sento come l’imperatore che dalla tribuna del Colosseo decide col pollice verso della vita o della morte del gladiatore, come il re che affaccia la mano guantata dalla carrozza e concede un cenno al popolo in attesa, come un dio che elargisce a proprio piacimento gioia o dolore, premio o castigo, presenza o assenza.
Ci sono e mi sono ricordato di te, ci sono ma non mi sono ricordato di te.
Un fremito mi prende lì per lì, la tazza mi trema.
Un delirio di egopotenza.
Poi, finita la colazione e spento il computer, torno alle quotidiane miserie.

domenica 13 maggio 2018

Cittadini e contenti

Mio figlio vive da due mesi in un Paese senza governo e non so come dirglielo.
Faccio fatica a spiegargli la scarsa autorità di Orso su Masha, figuriamoci il resto.
Lui gioca, ride, capitombola, piange, si rialza ma non si arrovella minimamente sulla situazione politica.
È giusto che sia così: io alla sua età pensavo che Andreotti fosse uno dei Puffi (magari).
Da grande leggerà tutto sui libri di Storia (ammesso ci saranno ancora).
D’altronde è in piena mammocrazia (particolare forma di governo per la quale il papà non conta un cazzo).
A volte lo invidio, invidio il legame ombelicale che prova nei confronti delle proprie istituzioni.
Fantastico allora di precipitarmi sulle ginocchia di Mattarella e farmi fare le coccole.
Di correre tra gli stanzoni del Quirinale e giocare a nascondino coi fantasmi di papi, re e presidenti.
Di andare a letto la sera protetto ai lati da due corazzieri armati contro quel mostraccio del fasciopopulismo.
Di addormentarmi col Presidente in pigiama d’ordinanza che mi legge la Costituzione: “…e vissero tutti cittadini e contenti”.

lunedì 7 maggio 2018

Cogitus interruptus

Da un paio di settimane l'ultimo tratto a piedi verso il lavoro si è fatto meno solitario.
Chiacchiero del più e del meno con un signore sulla sessantina diretto in un ufficio poco distante dalla mia meta.
La cosa è nata per caso: da un po' ci 'tenevamo d'occhio' causa orari comuni, parcheggi spesso vicini, tratto a piedi appunto identico.
Non ricordo nemmeno chi abbia rotto il ghiaccio, fatto sta che da due settimane la conversazione mattutina è diventata un rito.
Un rito insopportabile: son bastati tre giorni per accorgermi che il mio interlocutore comincia i discorsi e non li porta a termine.
Non lo fa apposta: li lascia in sospeso, crea aspettativa nell'ascoltatore e passa con nonchalance a parlare d'altro (che immancabilmente resterà incompiuto).
Ciò mi innervosice parecchio e zavorra il resto della mia giornata.
Come se a un bambino, pendente dalle labbra del suo narratore, venisse negato il finale della fiaba.
Ho cercato allora di evitarlo (cambiando giro e orario e parcheggio), ma un sesto senso guida il mio interlocutore a beccarmi sempre.
Ieri mattina ho deciso di vendicarmi.
Ma mai avrei immaginato la reazione.
Stavamo camminando come al solito uno a fianco dell'altro, quando a un certo punto