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mercoledì 27 settembre 2017

Comunque costano

Venerdì pomeriggio, camminando in via Roma a Treviglio e passando a lato di una coppia madre-figlia (50 e 15 anni su per giù), mi è capitato di sentire quest’ultima concludere così un discorso: “Comunque i preservativi costano”.
A parte che il sottoscritto pensa di aver utilizzato con i propri genitori per la prima volta il termine ‘preservativi’ giusto un paio di mesi fa (mi era scappato chiedendo se avessero in casa dei sacchetti da freezer “preservativi…” – silenzio , imbarazzo, rossore in faccia – “…ma sì dai, quelli che preservano i cibi deteriorabili dalla corruzione del tempo”).
A parte ciò, ho avanzato le seguenti ipotesi:
- due attrici, calate perfettamente nei ruoli, stavano ripassando il copione di una qualche commedia dell’assurdo (tipo ‘Aspettando godo’);
- la figlia si opponeva alle insistenze con cui la madre la pregava di rinunciare al salto della quaglia come pratica contraccettiva;
- la figlia stava vagliando tutti i metodi anticoncezionali conosciuti soppesandone pro e contro;
- la figlia, emancipata, si stava lamentando in pubblico dell’incidenza di quella voce di spesa nella propria paghetta settimanale e questo in ragione dell’ampio ricorso al prodotto in questione (la madre, in silenzio al suo fianco, camminava combattuta tra l’orgoglio di avere una figlia un po’ donna e il dubbio di avere una figlia un po’ zoccola);
- la figlia, appassionatasi alla lezione scolastica di economia, stava calcolando il valore sul mercato del profilattico una volta tenuto conto del costo di partenza del lattice grezzo, del conseguente processo di fabbricazione, della manodopera volta a testare la qualità del prodotto finale;
- la figlia stava ricordando la soluzione di un problemino di matematica che ancora la assillava dai tempi delle Elementari: “Un bambino entra in farmacia e compra una scatola di preservativi. Calcolando che in tasca ha 20 euro, che 5 li ha già spesi per le sigarette e che i preservativi costano cadauno…”;
- la figlia stava condividendo lo stupore nei confronti dell’inflazione galoppante attestata dal vertiginoso rialzo del prezzo dei condom (dati Istat alla mano), per la serie: “Ricordi mamma? Solo una settimana fa venivano…”;
- la figlia, studentessa di giorno e cameriera di sera, stava negando alla madre disoccupata e imbronciata i soldi per l’acquisto degli anticoncezionali.

Oppure, semplicemente, la figlia è figlia dei tempi e la madre è ignota.

mercoledì 20 settembre 2017

Ito?

Con Fede siamo passati alla fase "pappagallina", vale a dire alla ripetizione pedissequa delle parole sentite.
O meglio alla ripetizione della parte finale delle parole sentite.
"Ite"
Capito?
"Ito"
Esatto!
"Atto"
Questo è l’andazzo…
"Azzo"
Il problema è proprio "azzo" ripetuto una decina di volte.
"Azzo azzo azzo azzo azzo azzo azzo azzo azzo azzo"
Il disagio aumenta nei luoghi pubblici.
Sabato sera al ristorante, dopo che Irene mi aveva detto di vedermi un po’ paonazzo, Federico ha così risposto al “Desiderate?” del cameriere: “Azzo azzo azzo azzo azzo ...”
Da allora stiamo cercando di evitare tutti i termini che finiscano in forma fallica: mazzo, lazzo,
paparazzo, arazzo, Durazzo…
Quantomeno di non collocarli in fondo alla frase.
Esempi di sintassi alternativa: “Un mazzo ne vorrei”, “Magnifico arazzo quello è!”, “Stati a Durazzo voi siete?”
Impegnativo, non immediato, grammaticalmente discutibile ma alla lunga efficace.
Fino al mio imperdonabile errore di ieri sera a tavola: “Nooo, mi è caduto il sale... Che sfiga!”

mercoledì 13 settembre 2017

Se non allora quando

Con un bimbo piccolo che gironzola per casa, salta, s'inerpica, lancia e si lancia, è praticamente impossibile trovare un momento per volersi bene.
Intimamente bene.
Di notte non se ne parla perché dal lettone, dove s'assopisce, impossibile smuoverlo pena risveglio traumatico (per lui e per i vicini).
Di giorno, ora pennichella, si potrebbe anche fare ma finisce sempre che ci addormentiamo pure noi (maledetta digestione!).
Allora ogni tanto, quando l'ormone ha il sopravvento, prendo la pallina di pezza, la faccio rotolare lungo il corridoio fino alla stanza in fondo e incito Federico ad andare a prenderla.
Lui si esalta, scatta, recupera e torna.
Per lui 30 secondi di puro divertimento.
Per me e Irene idem.
Compresi i 20 per rivestirsi.

martedì 5 settembre 2017

Il sorpasso

Non sono mai stato un tipo sportivo.
Zero calcio, un po’ di tennis quando ancora le racchette erano di legno, quella volta che corsi i 100m inseguito da uno sciame.
A scuola, in Educazione Fisica, un 6 risicato.
Ancora oggi il massimo che mi concedo sono poche flessioni e un paio di addominali così da poter rispondere, nel caso me lo chiedessero, “Ultimamente faccio palestra”.
Tutto improvvisato, si intende: salotto di casa, tappettino-puzzle del bimbo e conteggi taroccati per accelerare la fine.
La cosa si è fatta divertente da quando l’altro giorno Federico si è fermato al mio fianco, mi ha scrutato incuriosito, si è sdraiato e si è messo ad imitarmi nei movimenti.
La cosa si è fatta meno divertente da quando quello stesso giorno Federico andava avanti negli esercizi mentre io già ansimavo.
Si fletteva e rideva, si fletteva e rideva.
Arrancavo e imprecavo, arrancavo e imprecavo.
Un’umiliazione, un “sorpasso” padre-figlio in anticipo rispetto alla tabella di marcia (avevo calcolato sui vent’anni, non venti mesi).
Ieri sera una piccola soddisfazione a ristabilire l’ordine naturale delle cose: lui in bagno che si sforzava sul vasino da notte; io che l’ho affiancato, mi sono seduto sulla tazza e ho seraficamente espletato.
Tutto ciò senza mai guardarlo in faccia bensì fischiettando un simpatico motivetto.
Prima di uscire l’ho fissato e gli ho detto: “Schiaccia tu visto che ti allunghi così bene”.
Irene dice che sono immaturo, orgoglioso e infantile.
Io dico che ha cominciato lui.