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giovedì 27 agosto 2015

SovraPINsiero

Me ne sono sempre abbastanza fregato delle conseguenze.
Ma due consigli della nonna continuano a distanza di anni a rimbombarmi nelle orecchie: "Non fare il bagno subito dopo aver mangiato ma aspetta almeno tre ore" e "Nascondi con la mano il pin del bancomat mentre lo digiti".
Li ho fatti talmente miei che nelle due situazioni sopracitate mi comporto praticamente da automa in modalità 'proteggi te stesso'.
A invitarmi in acqua potrebbe essere anche Belèn sventolante il reggiseno, le opporrei comunque un educato "Tu intanto fatti una nuotata, tra due orette arrivo. Anzi, tra un'ora e tre/quarti per la precisione".
Ma soprattutto è nel secondo caso che il mio istinto di conservazione dà il meglio di sé appena scorgo qualcuno alle spalle: il corpo si fa aderente allo sportello, la mano destra copre a conchetta la pulsantiera, le code degli occhi si muovono a tergicristallo, le meningi si concentrano, l'indice sinistro pigia i bottoni.
Operazione portata a termine, missione compiuta, tessera ritirata, segretezza tutelata!
Stamattina il signore dietro di me si è giusto permesso di darmi un consiglio: "Dovrebbe solo evitare di ripetere a voce i numeri mentre li digita".

lunedì 24 agosto 2015

Della discrezionalità del concetto di spesa necessaria (o la zia infingarda)

Scena 1 (inizio mattinata)
Irene entra nel piccolo market del paesino di montagna tenendo per mano la nipotina di quattro anni che tanto ha insistito per fare la spesa con lei.
Io aspetto fuori con la Lilly al guinzaglio.
"Va beeene. Entri con la zia ma prendiamo solo le cose necessarie, quelle che servono. Capito?".
"Sì".
"Latte, detersivo, pane e qualche limone. Ok?".
"Sì".
"Niente caramelle, gelati o altre cose golosone che a quest'ora fanno solo bua al pancino. Intesi?".
"Sì".
"Quindi farai i capricci?".
"No".
Scena 2 (qualche minuto dopo)
La porta scorrevole del piccolo market si apre ed esce la nipotina a capo chino strascicando per terra una borsa della spesa per lei troppo pesante.
Arrivata all'altezza del mio ginocchio, molla la borsa e si avvinghia forte forte alla gamba.
Io comincio ad accarezzarle il capo e la Lilly mostra il proprio affetto leccandole le caviglie.
È evidente che qualcosa là dentro l'ha turbata.
Scena 3 (pochi istanti dopo)
La porta scorrevole del piccolo market si riapre ed esce Irene con un gigantesco sacchetto di patatine unte e sgranocchiose in mano (la confezione maxi tanto per intenderci).
Io e la Lilly ci guardiamo, ma prima di riuscire ad aprir bocca l'ingorda ci zittisce con le guanciotte piene e rimasugli di patatine a orlarle le labbra: "Non dite niente... crock crock... Per me... crock crock... era una spesa necessaria... crock crock".
L'abbraccio alla gamba si fa più stretto, le mie carezze più intense.
La Lilly comincia a leccare le mie di caviglie.

venerdì 21 agosto 2015

Sentite coglionanze

Irene deve aver deciso, senza dirmi niente prima, di impegnarsi di brutto e superarmi nel nostro personale campionato delle figure di melma.
Eravamo seduti sui gradoni del sagrato di una chiesetta di montagna abbastanza sperduta e dall'aria trascurata.
Sarà stato il contesto o non so cosa, ma mi sono fatto all'improvviso più mogio e pensieroso.
Al che Irene ad alta voce: "Oh, che aria da funerale!".
Nello stesso istante si è spalancato il portone della chiesa e un nugolo di persone vestite di nero ha cominciato a passarci accanto con passo lento e affranto.

martedì 18 agosto 2015

Creature dagli abissi

La prossima volta che escogitate un piano, assicuratevi che non ci sia nessuna sbreccatura nelle piastrelle.
Eppure il mio piano era perfetto.
Semplice ma perfetto.
Subire un attacco intestinale in piena discesa dal rifugio alpino (ecco, questo non era esattamente calcolato), ricordarsi di un albergo-locanda a metà percorso, stringere nel frattempo le chiappe fingendo interesse e partecipazione alle chiacchiere altrui, resistere dall'accelerare il passo in prossimità della suddetta locanda, dire con nonchalance "Voi proseguite pure che vi do un vantaggio sennò ciao", varcare la soglia con altrettanta nonchalance e buttare lì al gestore "Un grappino di quelli forti, grazie. Ah, il bagno?", dirigersi a passo via via più nervoso verso il luogo indicato, accertarsi di essere soli, entrare nella toilette, lodare Dio (o chi per esso) per aver inventato la turca, calarsi le braghe, assumere la posizione-uovo e toccare il cielo con un...
Scorgere la lenta emersione di uno scorpioncino dall'oscurità di una piastrella sbreccata del pavimento, indietreggiare alla cieca, perdere l'equilibrio, cercare con le mani un punto d'appoggio, immaginarsi già spacciati col sedere incastrato nella turca e l'orrida creatura in inesorabile avvicinamento, trovare un appiglio nella cordicella delle emergenze, aggrapparvisi con tutto il peso del proprio corpo, far scattare un suono acuto che neanche Flipper quando chiamava gli amici delfini, determinare il precipitoso intervento del gestore, degli ospiti dell'albergo, dei compagni di camminata richiamati dall'allarme echeggiato per tutta la valle, sentire il primo piombato nella toilette prorompere in un disgustato "Oh signùr che odùr...".
Provare imbarazzo (profondo imbarazzo), rassicurare i soccorritori al di là della porta balbettando qualcosa, scorgere lo scorpioncino indietreggiare a singhiozzo (quasi se la ghignasse) e inabissarsi da dove era venuto, uscire dopo mezzora di training autogeno davanti allo specchio: "Là fuori c'è gente intelligente che ascolterà e capirà, là fuori c'è gente...", sapere comunque che là fuori nessuno ti crederà ma sarai nei racconti orobici tramandati di generazione in generazione (notte stellata, tende battute dal vento, fuoco acceso, tutti intorno, la vecchia guida alpina a raccontare aneddoti) quello che 'l s'era cagat adoss.

giovedì 6 agosto 2015

Pizza connection

"Pronto, ciao ma'..."
"Pronto pizzeria?"
"...volevo chiederti un piacere"
"Sì, pisseria Sahara, a disposisione..."
"Dimmi pure. Di che piacere si tratta?"
"Vorrei ordinare..."
"Visto che Irene non c'è in questi giorni..."
"...una marinara, una pugliese e un kebab"
"Va bene, signore. Per che ora vuoi consegna?"
"Fammi indovinare..."
"Facciamo alle..."
"...mi stireresti un paio di magliette?"
"Otto e mezza"
"E va bene. Ma prima o poi dovrai imparare!"
"Ok capo. Otto e mesza puntuale".
Da un paio di giorni le linee telefoniche del mio condominio devono essersi fuse tra loro complice il calore.
In particolare l'amplesso di cavi pare essersi consumato tra il mio apparecchio e quello del kebabbaro al piano terra.
Ad ogni cornetta alzata è un sovrapporsi di chiacchiere private, ordinazioni di pizze, resoconti giornalieri, richieste di condimenti extra, confidenze intime, indicazioni stradali per l'addetto alle consegne, sfoghi personali, intraducibili imprecazioni in arabo quando la linea è particolarmente disturbata.
A parte il fastidio del bombardamento di trilli all'ora di cena, spero che la situazione si risolva prima che mia mamma sfrecci in motorino a consegnare kebab sulle strade della Bassa e soprattutto prima che Ahmed, sulla soglia del portone, mi chieda: "Ehi capo, ti devo stirare anche mutande?".

martedì 4 agosto 2015

Efelidi

L'altra mattina mi è passata l'infanzia davanti agli occhi.
Nel senso che in spiaggia, davanti a me, un bambino pel di carota piagnucolava e si contorceva scongiurando la mamma di fargli sparire dalla faccia le efelidi.
Non ha detto proprio "efelidi", ma ha sputato con rabbia tutti i sinonimi evidentemente usati dagli "amichetti" per prenderlo in giro: lenticchie, pamole, cacche di mosca, croste di polenta... lentiggini insomma.
E l'ho immaginato morire dentro mentre gli altri, credendosi spiritosi, retrocedevano da lui con le braccia a croce manco fosse un appestato; l'ho visto chiedere timidamente il primo appuntamento alla compagna di banco e sentirsi rispondere in modo gelido "Il giorno in cui ti cadranno quelle cose dalle guance"; l'ho riconosciuto nelle grinfie dei bulletti della scuola mentre questi lo tenevano fermo giocando a unirgli con il pennarello le macchie in faccia a comporre la parola "MOSTRO".
E mi sono rivisto fuggire dalle risate altrui e correre dalla mamma a chiedere come mai mi avesse fatto così; ho ricordato le notti passate a spalmarmi la crema Biancardi perché cadessero quelle cose dalle guance; ho rivissuto le scuse mattutine per non andare a scuola e incrociare i miei aguzzini.
Allora ho vinto la riservatezza, mi sono avvicinato al bambino e ho sussurrato: "Tranquillo, non credere a quello che ti dicono: siamo persone normali".
Sarà stato il logoro cappellino Cre '98 che avevo in testa, gli occhiali da sole montatura verde pisello allegato di chissà quale settimanale per adolescenti, la protuberanza psichedelica del naso rosso peperone in una faccia cosparsa di crema, la maglietta poco rassicurante di Arancia Meccanica, le infradito Hello Kitty prestatemi da Irene quella mattina... fatto sta che il ragazzino s'è messo a frignare più forte e la mamma a fulminarmi con uno sguardo del tipo "Grazie. No davvero, grazie".

sabato 1 agosto 2015

Stigmate

Io non mi abbronzo, mi scotto.
Non mi rosolo la pelle, me la ustiono.
Più modello porchetta di Ariccia che bronzo di Riace.
Se al mare mostrassi le chiappe chiare, passerei le ore successive all'ospedale.
Quando Dio ha distribuito la melanina, io ero evidentemente in bagno (prima ero stato al pub).
Ogni anno perdo la mia personale battaglia con il sole nonostante tutte le precauzioni del caso: strato mattutino di crema 50 protezione bambini prima di scendere in spiaggia, secondo strato di crema 50 protezione bambini una volta sceso in spiaggia, richiamini di crema 30 ogni oretta, spruzzatina spray di crema 15 su lobi delle orecchie, naso, estremità in genere, ombrellone, cappellino con visiera, maglietta rigorosamente bianca, bagno dopo il tramonto.
Ma il sole è paziente, infido, sa aspettare e cogliere in fallo l'umano che ha osato sfidarlo.
Se per Achille il punto debole era stato il tallone non immerso dalla madre nello Stige all'atto di renderlo immortale, per me è il palmo della mano destra che impugna le creme e che mi scordo infine di impomatare.
Lì il sole sa che deve colpire.
Attende solo che mi distragga: tipo momento abbiocco, mano destra rilassata e aperta, linea d'ombra che si sposta, palmo esposto alla mercé dei raggi.
Seguono in ordine d'intensità a disturbare la pennica (e rovinare la vacanza): momentaneo tepore, progressivo arrossamento, fastidioso sfrigolio, intenso bruciore, comparsa di bolle stile dorso di rospo, stigmate in cui le signore della spiaggia scorgono l'effigie di Padre Pio (i bambini la Peppa Pig). Accorrono, s'affollano, si danno di gomito, sussurrano, fanno ombra (ormai tardiva).