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domenica 27 dicembre 2020

Proud of him


Scena: mamma Irene, Fede e cuginetta ospite che fanno i biscotti mentre scelgono una canzone a testa su Spotify (io sullo sfondo litigo coll'assemblaggio dei regali-gioco di S. Lucia).

Comincia mamma Irene e mette uno scanzonato Jingle Bell Rock per creare atmosfera.
È il turno della cuginetta che sceglie le zuccherose melodie di Rapunzel della Disney.
Tocca a Fede e piazza London Calling dei Clash.
Così, senza senso (almeno per gli altri).

lunedì 14 dicembre 2020

Care vecchie paure

Adesso anche la nebbia, un tempo fantomatico mistero, mi appare un muro appiccicaticcio di particelle virali, che da incorporee han deciso di rendersi minacciosamente visibili.


Mi mancano le vecchie paure.
La paura che la sveglia non suoni.
Che il caffè non salga.
Il dubbio di dover fare benzina.
La preoccupazione di arrivare tardi.
Il batticuore da autovelox.
L'apprensione da coda semaforica.
L'ansia del parcheggio.
Il terrore di non aver chiuso la macchina, spento il gas, salutato Irene.
Forse toccava a me portare Fede all'asilo?
Voglio che le solite fobie tornino a ossessionare la mia quotidianità al posto di un'unica pandemica angoscia.
Non vedo l'ora che tutto passi per tornare alle care vecchie rassicuranti paure.

venerdì 13 novembre 2020

Che bel fiore

 

"Che bel fiore, Fede! Per chi è? Per la mamma?"
"No"
"E per chi è?"
"Per la Lilly"
"Per il cagnolino della nonna? Che bel pensiero!"
"Per quando muore"
"Scusa?"
"Per quando muore. Mi pare evidente che la Lilly stia morendo"
"Sì, cioè no... È anziana, è vero... Non ci vede praticamente più... Ma..."
"Prima o poi dovrai accettarlo"
"Sì, certo... Anche se non è il mio cane... Cioè..."
"Papà, non rifiutare il dolore"
"Uau... Ok, quando sarà..."
"Tipico di voi adulti occidentali ignorare l'ineluttabilità della morte per procrastinare l'appuntamento con essa"
"..."
"Papà?"
"S-s-sììì?"
"Vuoi che ti dedichi un disegno?"
"No"

Che fare?

La scorsa primavera il lockdown mi colse alla sprovvista.

Stavolta no.

In queste poche ore che rimangono ho intenzione di fare tutto quello che non potrò più fare per un po' di tempo.

Andare a messa.

Accompagnare Irene all'Ikea.

Comprare una birra belga da 66 al market del paese e sorseggiarla a canna sulla panchina dei giardinetti sottolineando ogni goccio con un "aaaahhh" prolungato di soddisfazione.

Però c'è poco tempo e temo di non riuscire a fare tutto.

Dovrò scegliere.


Per quanto ancora

“Papi”

“Sì?”

“Andrà avanti ancora tanto?”

“Non lo so, Fede, non lo so. Diciamo che il virus Coronello - te lo ricordi? - si sta rivelando un avversario duro da battere”

“Mi riferivo alla mamma”

Da un’ora la mamma tontognava dalla stanza in fondo al corridoio di quanto fossimo incoscienti a giocare a rugby in casa in un periodo del genere, di come non fosse il caso di farsi male inutilmente e andare al Pronto Soccorso in piena seconda ondata, di quanto il papà potesse evitare di placcare il figlio girato di spalle o di falciarlo di netto pur di non fargli fare meta.

“Temo finirà prima il Coronello”

“Abbracciamoci”

“Vieni qua. Andrà tutto bene”.

giovedì 15 ottobre 2020

Sotto un accento sbagliato

 



Stamattina Fede chiede: “Quando anche io posso diventare papà?”.
Contropiede. Impaccio più totale.
Memore delle paroline di Irene (“Sempre la verità, a nostro figlio sempre la verità...”), stavo già cominciando a rispondere “Allorché in età adolescenziale il tuo apparato riproduttore...” quando mi è venuto in mente che ultimamente Fede accentua alla grande tutte le parole di fine frase.
Del tipo: “Stasera cosa si mangià?”, “Sono stanco... Andiamo a casà!” e via dicendo.
(Assurdo, detto per inciso, che scordi invece l’accento in espressioni come “Quanta pusillanimita!” o “Dai che ci mettiamo in cerchio a suonare il digeridu”).
Allora ho risposto levandomi dall’imbarazzo: “Quando in occasione di un conclave i cardinali appositamente confluiti individueranno nella tua figura la più adatta a vestire i panni del vicario di Cristo”.
“Ah, ok”
“Figurati, chiedi sempre al papa quando vuoi la verità”.

Un po' pattume, un po'...

 


Che poi a forza di averci a che fare uno si affeziona anche alle cose più assurde.
Tipo il secchiello dell'umido.
Che quando rincasi il giorno del ritiro e non trovi più il tuo in mezzo agli altri degli altri ci rimani male.
Perché dentro ci sono i tuoi rimasugli incrostabili, i tuoi cagnotti fossilizzati, il tuo lezzo che fa tanto casa.
Qualcun altro l’ha preso. In buona fede ma l’ha preso.
Allora prendi uno a caso di quelli rimasti.
Ma non è lo stesso.
Altri avanzi, altre croste, altri unti (ammazza come impregna il wasabi!).
Un effetto a catena di solitudini biodegradabili.
Fino alla volta dopo, quando ognuno ritrova il proprio secchiello in mezzo agli altri degli altri.
E lo riporta a casa.
Ma niente è come prima.
Perché alligna il sospetto: che sia stata la tua secchia a concedersi, a tradire, a cercare gli scarti altrui.
Perché magari aveva voglia di wasabi.
Un po' pattume, un po' puttana.

domenica 11 ottobre 2020

Colti in castagna


Oggi siamo andati per castagne a Olera.
Non c’ero mai stato.
A Olera intendo, non a castagne.
Sopra Alzano.
Bel borghetto, tenuto bene.
Le stradine che sono già sentieri, le casette con le pietre a vista, gli infissi di legno appena piallato, i battiporta in ferro battuto che al rumore pare di viaggiare nei secoli.
E poi gli anziani seduti qua e là per le viette, sulle böre che furono tronchi, a salutare i passanti e raccontare storie.
Soprattutto ai bambini a un varco da quel bosco che da sempre stimola la loro fantasia.
Pronti ad accovacciarsi e pendere dalle labbra altrui, segnate da vicende e stagioni.
Bambini tipo Fede.
Che alla fine della storia, mi ha guardato e detto ad alta voce: “Papi, non ho capito niente”.
“Nemmeno io” avrei voluto dirgli ammiccando alla bocca sdentata del vecchierel canuto e bianco, ma mi son limitato ad accarezzargli la testa e dire “Oggi no, ma vedrai che un giorno queste parole ti torneranno in mente e all’improvviso capirai”.
L’anziano ha fatto cenno di sì col capo e ha sorriso. Si fa per dire. 

venerdì 18 settembre 2020

It's time for truuuth...

Ho fatto uno strano sogno.

Io appena sveglio che leggevo sul giornale di un musical fantastico a Broadway (con Michelle Williams e Lando Buzzanca), che prenotavo subito per quel giorno i biglietti (spettacolo e aereo A/R), che uscivo di casa dicendo a Irene che andavo in discarica a buttare la friggitrice rotta.
Avevo calcolato tutto: ore del volo di andata, durata del musical, tempo del volo di ritorno.
Una volta a casa (le tre di notte circa), dico a Irene che in discarica il cellu non prendeva, che c'era coda, che tutti quel giorno volevano sbarazzarsi di qualcosa, che il Governo aveva imposto un ultimatum per liberarsi dei rifiuti ingombranti.
Lei mi abbraccia sotto le lenzuola sussurrando una frase sonnolenta del tipo "Il mio ometto" mentre io in fondo alle coperte ripasso coi piedi i passi di danza della canzone dello spettacolo che tanto mi era piaciuta (quella in cui la figlia Michelle annuncia al padre Lando di essere in realtà sua madre; comincia con "Daaad, it's time for truuuth...").

Questo il sogno.
Deduco:
- che adoro i musical e da oggi mi riprometto di sostenere almeno una conversazione al giorno cantando e ballando;
- che Lando Buzzanca è stato ingiustamente relegato nel corso della sua carriera in ruoli di sessuomane sporcaccione;
- che è bene tenere in casa sempre uno scarto voluminoso a portata di discarica (frigo scassato, ciclostile inceppato, acquario scheggiato anche se non hai mai avuto i pesci);
- che quando fai le cose che ti piacciono il tempo vola (di solito con American Airlines).

domenica 13 settembre 2020

Bulli al sole

Fede, quattro anni e mezzo, è ancora nella fase nudismo in spiaggia senza vergogna.
Non ha ancora mangiato la mela del peccato.
Gioca sulla battigia coi gioielli di famiglia al vento.
Poco fa un gruppo di bambini poco più grandi, di quelli che hanno già morso il frutto proibito, l'ha additato e canzonato: "Pisellino, pisellino, pisellino...".
Indeciso se intervenire o assistere sono infine intervenuto.
A modo mio.
Mi sono spogliato e mi sono messo a fianco di Fede con fare solidale: "Adesso come la mettiamo?"
Hanno incominciato a sfottere me.
Si è unito anche Fede.
Sono diventati amici.

giovedì 3 settembre 2020

Che suo padre comprò

E dietro di me che fotografo Irene mentre fotografa Fede ci sta mia madre che mi fotografa a sua volta fotografata da mio padre e via su su per tutto l'albero genealogico fino in Etruria, dove etimologicamente risalgono i Ferrari, i 'lavoratori del ferro', che è poi il nome con cui i primi fotografi chiamavano il loro attrezzo nell'Ottocento.
Mentre là davanti Fede sta immortalando un cane che morde un gatto che mangia un topo che alla fiera dell'Oktoberfest suo padre comprò (anche se non me lo ricordo).

 

lunedì 17 agosto 2020

Imparerai

 

Imparerai che nella vita, più che il lusso, conta ciò che resta alla fine del riflusso.
Imparerai anche che tuo padre a volte dice frasi apparentemente profonde che in realtà non significano un cazzo.

venerdì 31 luglio 2020

Sindaco vs Morte

Del perché non mi candiderò mai a ruoli di responsabilità pubblica sapendo di andare incontro ad altrui aspettative destinate a rimanere deluse con tanto di polemiche e recriminazioni.

Premessa: Federico mesi fa, in epoca pre-Covid, aveva fatto con l'asilo una "gita" in comune a conoscere il sindaco, nell'occasione presentato come colui che si occupa dei problemi del paese.

Stamattina al risveglio.
Lugubre leit motiv da un mesetto a questa parte con novità finale.
"Papà?"
"Dimmi"
"Ma io non voglio morire"
"Buongiorno anche a te. Comunque nemmeno io voglio morire"
"Allora dopo chiamiamo il sindaco e gli chiediamo di fare qualcosa".

giovedì 23 luglio 2020

Anonima sorda

Stamattina in montagna ho rapito un bambino.
Tipo Anonima Sequestri anni '80.
Non è che mi stessi annoiando e, dai, vediamo l'effetto che fa.
È che mia cognata, in pieno parchetto pubblico, a un certo punto mi chiede di recuperare, lei impegnata con le altre figlie, la più piccola addormentata nel passeggino.
Vado, scorgo due gambine penzoloni, prendo e mi muovo.
"Aiuto! Aiuto! Vogliono rapire mio figlio!" sbraita una.
Alzo lo sguardo pronto a placcare il malintenzionato.
Dagli sguardi capisco che il malintenzionato sono io.
Tra gli sguardi quello di mia nipote, la più piccola, quella che dovevo recuperare.
Faccio due più due e mollo istintivamente la presa.
La stradina è leggermente inclinata.
"Aiuto! Aiuto! Vogliono uccidere mio figlio!" sbraita la stessa.
Alzo lo sguardo pronto a placcare il malintenzionato.

Bene e male convivono nella stessa persona.
E non è sempre facile capire il confine.
Spesso lo si capisce dopo.

lunedì 13 luglio 2020

Okkupatooo!

L’altra sera eravamo ospiti da amici di Irene nella loro nuova casa.
A un certo punto della serata chiedo di andare in bagno.
Uno shock visivo: il water non era scontatamente in fondo vicino alla finestra ma subito dopo la porta. Attaccato praticamente. Come nei pub.
Ok, non era una turca da pub ma la distanza water-stipite era pari a quella dei bagni da birreria. Minima.
Quanto basta per non chiudere a chiave e premere con la suola (col piede pigiato in avanti o appoggiato all’indietro a seconda della postura) perché nessuno possa entrare.
Quanti ricordi di quante serate.
Chiudere a chiave faceva fighetta sfigato, urlare “Okkupatooo!” e respingere a scarpate faceva vissuto figo.
Che è poi il motivo per cui ho sbattuto la porta in faccia al figlio della coppia quando ha cercato di entrare per lavarsi i dentini.
E più il bimbo spingeva, più io respingevo.
Fino a quando è scoppiato a piangere e l’ho sentito sbattere la porta della cameretta.
Non che la cosa mi turbasse: troppo calato ormai nel me ventenne in quel lontano contesto di fumi, pinte e cessi alla Trainspotting.
Tanto da lasciare volutamente qualche goccia sul bordo della tazza, gettare un mozzicone al centro perché galleggiasse nel giallognolo stagnante e scrivere una frase porca sull’asse con annesso numero di telefono.
Poi sono tornato di là a riprendere la conversazione sulla fragilità emotiva delle nuove generazioni e sull’essere genitori oggi.

martedì 30 giugno 2020

Insomma

Colazione, all'improvviso, biscotto inzuppato in mano.
"Papà, ma dalla morte si guarisce?"
"Insomma"
"Cosa vuol dire 'insomma'?"
"Vuol dire 'no'"
"È un simonimo? Come 'orso bianco' e 'orso polare'?"
"Si dice si-no-nimo. E: no, non è un sinonimo"
"Allora perché non hai detto subito 'no'?"
"Perché a volte si preferisce non dire le cose subito per non ferire"
"Ma dalle ferite si guarisce, vero?"
"Insomma"
"Nooo? Ma il mio taglio sotto il piede è guarito!"
"Infatti. Quell''insomma' voleva dire 'dipende'"
"Ma 'insomma' vuol dire 'no' o 'dipende'? Non ci capisco più niente! Voi grandi non potete dire le cose subito?"
"Insomma".

domenica 14 giugno 2020

Hai ragione

Ieri pomeriggio io e Fede abbiamo fatto un giro in bici in paese e siamo passati davanti a un bar affollato e vociante.
Fede mi ha guardato spalancando gli occhietti e mi ha chiesto: “Come mai tutta questa gente a bere mentre io non posso nemmeno entrare al parchetto-giochi?”.
“Hai ragione”.
Un attimo dopo eravamo al bancone, con lui che non capiva e io che capivo progressivamente meno.

Effetti collaterali della Didattica a Distanza

“Uau Fede, l’hai fatto tu?”
“Sì”
“Non male per un bimbo di quattro anni. Mi ricorda tanto un pittore spagnolo del secolo scorso; un pittore che con le sue colorate composizioni geometrico-astratte voleva rappresentare...”
“Juan Miró intendi?”
“Scusa...? Perché? Lo conosci?”
“Sì, anche se indirettamente. E poi lui si sarebbe definito catalano e non spagnolo. L’ho letto in una biografia a dire il vero incentrata su Salvador Dalì”
“Perché? Sai anche leggere?”
“Sì”
“E da quando tutte queste capacità?”
“Competenze, padre, competenze. Da quando tu sei impegnato nella stanzetta in fondo con le video-lezioni, mamma altrettanto in camera e io solo qua nella living room ho vinto la sensazione di abbandono cimentandomi in qualcosa”
“Soldatini e macchinine no?”
“No”
“Non ti nego che in parte sono fiero e in parte mi sento in colpa”
“Scisso tra orgoglio parentale e subconscio reo”
“Anche Freud?”
“Sì, anche Freud. Se hai due minuti e vuoi sdraiarti...”
“No, no, grazie. Tra poco ho un’altra video-lezione... Sono senza parole”
“Afasico si dice”.

lunedì 1 giugno 2020

Movida loca

Al mio segnale scatenate un giro di Campari con bianco.
Un aperitivo ci seppellirà.
L’alba dei morti beventi.
Con chi non muore si ribeve.
La morte si sconta bevendo.
Mors tua, caipirinha mea.
Verrà la morte e avrà il tuo spritz.
In vino veritas, in tomba giaceras.
Quando un uomo con l’astemìa incontra un uomo col Negroni, l’uomo con l’astemìa è un uomo morto.
Da bere a bara il sorso è breve.
L’astemio può tramontare e risorgere; per noi, quando il locale chiude, resta un’eterna unica notte da dormire.
Ripartire (le patatine al bancone) è un po’ come morire.
Un sepolcro ora basta per colui al quale un gin tonic fatto in casa non era abbastanza.
Chi vuol esser brillo sia, del doman non v’è certezza.
Aperitivare come un pazzo a papille secche in pieno giorno per vedere se poi è tanto difficile morire.
La Speranza (una lontana zia astemia) è l’ultima a morire.
Ma è giunta, ormai, l’ora di andare, io a bere, voi a vivere. Chi di noi vada a miglior sorte, nessuno lo sa, tranne Burioni.
La vita è come un giro di aperitivi: non sai mai quello che ti decapita.
Aperitivacci tua!

Shockumentari

Fede ama i documentari sugli animali.
E con lui ho cominciato ad amarli anch’io.
Prima solo se capitavano per caso facendo zapping.
Ora è appuntamento fisso.
Io e Fede a fianco sul divano a vedere ghepardi che inseguono gazzelle, uova di tartaruga che si schiudono, istrici che si ingegnano e si accoppiano.
E non di rado mi commuovo. Complice la paternità. Mia e degli animali.
Quando ad esempio i cuccioli si avvicinano al corpo esanime di papà leone e strusciano il muso contro il petto immobile del genitore. E insistono. E guaiscono. Fino a quando ammutoliti si sdraiano a fianco.
Deve essere questo il motivo per cui l’altro giorno, mentre giocavamo alla lotta, mi sono accasciato all’improvviso in attesa della reazione di Fede.
Fermo. Occhi chiusi. Respiro trattenuto.
Il cucciolo d’uomo si è avvicinato lentamente e ha detto: “Vediamo quanti soldini ha in tasca...”

venerdì 22 maggio 2020

Dov'ero quando la Storia cambiava davvero

Il 17 marzo 1861, giorno della proclamazione del Regno d’Italia, ero nella mente del mio trisavolo che si commuoveva pensando ai discendenti che un giorno avrebbe avuto in un’Italia finalmente unita e indipendente.
Il 25 aprile 1945, giorno della Liberazione dai nazifascisti, ero nei pensieri di mio nonno che si rallegrava pensando ai nipoti che un giorno avrebbe avuto in un Paese finalmente libero e democratico.
Il 20 luglio 1969, giorno dell’allunaggio, ero nelle fantasie di mio padre adolescente che si chiedeva se il figlio che un giorno avrebbe avuto sarebbe mai andato ad abitare sulla Luna. O quantomeno a passarci una vacanza.
Il 9 maggio 1978, giorno dell’uccisione di Aldo Moro, ero nella pancia di mia mamma che piangeva preoccupandosi del figlio che stava per avere in un Paese dilaniato tra terrorismo e stragi di Stato.
Il 9 novembre 1989, giorno del crollo del Muro di Berlino, ero in camera mia a giocare alla guerra con i soldatini quando i Miei mi chiamarono emozionati davanti alla tele a vedere che la Guerra Fredda era finita.
L’11 settembre 2001, giorno dell’attentato alle Torri Gemelle, ero in camera mia a studiare la guerra per un esame universitario quando un amico mi chiamò al telefonino per dirmi di andare su internet a vedere che una guerra nuova stava per cominciare.
Il 9 luglio 2006, giorno del quarto titolo mondiale per la Nazionale italiana, ero in Irlanda con amici e tra una pinta e l’altra mi domandavo se il figlio che un giorno avrei avuto avrebbe mai goduto di una festa simile.
Il 17 dicembre 2015, giorno della nascita di Federico, ero in sala-parto e rimuginavo tra un’imprecazione e l’altra di Irene sul fatto che forse quell’evento non avrebbe cambiato il mondo in generale ma il mio particolare di sicuro.
Il giorno X di tal mese del 20equalcosa, giorno in cui sarà annunciata la fine della pandemia Covid-19, sarò sul divano nella stessa posizione di quando era stata annunciato l’inizio del tutto. Si spera non mummificato.
Nel caso ci penserà mio figlio.

Appellativi

Appellativi che ho dato a Irene dacché ci conosciamo:
bimba coi capeli risci (da bambino)
bella figa (da adolescente allupato)
gentil pulzella (da universitario spasimante)
Signorina aspetti che Le apro la portiera (da uscente alle prime armi)
Bubuevani (da timido amante sotto le coperte)
Amore con la A maiuscola (da uscente conclamato)
Bubuevani gooool su punizione al 119’ finale Coppa Intercontinentale 1989 (da amante focoso sopra le coperte)
Jenny (quella volta che mi sono sbagliato nel momento meno opportuno)
Stronza ingrata (da lasciato)
Fighettuola prodiga (da ripreso)
amore con la a minuscola (da allora)
Madre di tuo figlio (da genitore incazzato con la madre e/o con il figlio)
Coinquilina (dopo dieci anni di convivenza)
Congiunta (dal 4 maggio 2020).

Interpretazioni

Compito a casa dell’asilo: disegna le tue paure.
Svolgimento di Federico: vedi foto sotto.
Interpretazione della madre: il buio.
Interpretazione del padre: svegliarsi di soprassalto in una stanza tinteggiata alla cazzo dopo aver dormito tutta notte su una branda militare sotto una coperta rosso-sangue e accorgersi solo in quel momento di non avere naso e bocca per poter respirare/urlare.

domenica 10 maggio 2020

Le invidie sociali ai tempi del Coronavirus

Chi non ha un giardino nei confronti di chi ce l’ha.
Chi ha un giardino ma non una griglia da barbecue nei confronti di chi ha un giardino e anche una griglia da barbecue (e pensare che ci stava quell’offerta prima che tutto chiudesse…).
Chi non ha un terrazzo (oltre non avere un giardino) nei confronti di chi ce l’ha.
Chi non ha un balcone (oltre non avere un giardino e un terrazzo) nei confronti di chi ce l’ha.
Chi non ha una finestra (oltre non avere un giardino, un terrazzo e un balcone) nei confronti di chi ce l’ha. Praticamente chi vive all’interno di un ascensore.
Chi si chiede come sia possibile vivere all’interno di un ascensore e soprattutto come cazzo sia possibile costruire case senza finestre rispetto a chi non si pone domande del genere.
Chi non ha un cane da portare a passaggio nei confronti di chi ce l’ha.
Chi ha un pappagallino o un merlo o un canarino nei confronti di chi ha un cane da portare a passeggio (“Perché diavolo non ho preso un cane?”).
Chi ha un gatto nei confronti di chi ha un cane (convincete voi un gatto a farvi da animale da passeggio, più facile sia lui a portarvi nella sua lettiera; tanto valeva prendere un pappagallino o un merlo o un canarino).
Chi mangia poco o nulla nei confronti di chi, mangiando regolarmente, ha autocertificata necessità di andare a fare la spesa.
Chi mangia poco o nulla e quindi produce pochi avanzi e non ha nemmeno la scusa di scendere a portare il sacco dell’umido rispetto a chi, mangiando regolarmente, produce abbastanza scarti da avere una scusa per scendere a portare il sacco dell’umido almeno una volta a settimana.
Chi di mestiere non fa il ritiratore del sacco dell’umido rispetto a chi lo fa.
Chi non fa il food rider rispetto a chi lo fa.
Chi non sa cosa sia un food rider rispetto a chi lo sa.
Chi viene a sapere che non è nient’altro che il vecchio pony express (non il pony express conosciuto da giovane, era l’84, e ora invecchiato, ma il vecchio termine “pony express”) e a quel punto capisce perché invidiarlo.
Chi non fuma e non ha bisogno di andare dal tabaccaio rispetto a chi fuma e deve andare dal tabaccaio.
Chi inizia a fumare per poter avere la scusa per andare dal tabaccaio ma teme di aprire un’autostrada polmonare al Coronavirus rispetto a chi fuma da una vita e si è ormai immunizzato in tal senso.
Chi non legge quotidiani e non ha bisogno di andare in edicola rispetto a chi legge e deve andare in edicola.
Chi inizia a leggere quotidiani per poter avere la scusa per andare in edicola ma teme di maturare un pensiero critico e porsi troppe domande rispetto a chi legge quotidiani da una vita e da una vita ha imparato a gestire troppe domande.
(La categoria di cui sopra non vale per quotidiani come Libero; con quotidiani come Libero ci si incarta il pesce o ci si pulisce le terga se assaliti da evacuazione intestinale in aperta campagna; quindi, date le attuali circostanze, ci si incarta il pesce e basta).
Chi non ha un parente cardiopatico da andare a trovare rispetto a chi ce l’ha.
Il parente cardiopatico che invidia tutti (tranne chi vive all’interno di un ascensore).

E ritrovar se stessi

A proposito di isolamenti forzati che fanno ritrovare cose.
C'è chi in questi giorni ha ritrovato un libro impolverato, chi un film visto al cine anni prima, chi un cd consumato in gioventù, chi una foto ingiallita, chi addirittura se stesso.
Io ho ritrovato il whisky&menta.
Roba fatta in casa. Due decenni fa.
Stava al di là di un'anta, di quelle che non apri mai se non per vincere la noia in occasione di epidemie internazionali.
3/4 di whisky più 1/4 di menta.
Lo stordimento dell'alcol ammansito dalla dolcezza della pianta aromatica.
Pur sempre un modo per ritrovar se stessi.
Dopo essersi persi.

Del sesso dei dinosauri

Le discussioni da convivenza h24 ai tempi del Coronavirus.
Un’ora fa si è questionato sul sesso dei dinosauri.
Non su come si accoppiassero, chi sopra chi sotto, se il T-Rex stabaccasse una siga dopo l’amplesso.
Né sulle dimensioni del sesso: lunghezza, angolatura, circonferenza.
Anche perché Federico era presente.
Abbiamo discusso sulla distinzione tra dinosauri maschi e dinosauri femmine.
All’origine l’assegnazione da parte di Fede di un pupazzetto di dinosauro a testa con la richiesta di scegliere un nome.
Per il mio brachiosauro io propongo Anselmo, per il suo triceratopo Irene suggerisce Rosy.
“No, non valeee” replica Fede secondo cui gli enormi lucertoloni possono portare solo appellativo virile.
Io tacitamente concordo, Irene legge dietro all’impuntatura del pupo un principio di maschilismo da estirpare alla radice.
Fede urla e getta involontariamente il carico da 90 dicendo che le dinosaure stanno in casa.
“Magari a fare la lavatrice?” domanda stizzita Irene.
“Non esisteva” risponde Fede.
“Aaaah, meno male...” male interpreta la madre.
“Non esisteva la lavatrice” precisa l’infante.
“Forse allora a pulire la caverna?” ironizza la genitrice.
“No, anche a cucinare” rilancia il pargolo.
“È colpa tua!” cambia bersaglio la donna.
“Giuro che non c’entro” mi difendo io.
“Con una mentalità del genere non mi stupisce che i dinosauri si siano estinti!” sentenzia l’inviperita.
“Come estinti!?!” balbetta l’innocente cui non avevamo ancora parlato della scomparsa sulla Terra dei bestioni preistorici.
Il siparietto cala con me e Irene impegnati in un effervescente scambio di vedute su cosa fosse colpa di chi.
Mentre Federico cerca di rimediare all’estinzione facendo accoppiare selvaggiamente i pupazzetti di Anselmo e Rosy.

domenica 26 aprile 2020

Post presuntuoso e antipatichello

Tu dici: sono costretti a casa dalla situazione, non subiscono l’assillo del lavoro, godono di tempi più allentati, quindi leggono di più, approfondiscono le notizie, le verificano e le comparano (ammesso che si informino e non vivano di sentito dire e Barbare D’Urso).
E invece no: adocchiano solo i titoli, quelli più ad effetto naturalmente, quelli che di solito sparano un “INCREDIBILE...”, “COMPLOTTO...”, “VERGOGNA...”.
Oppure vanno un po’ più in là del titolo e guardano anche la foto.
O se vanno oltre la foto leggono ma non si pongono domande sull’affidabilità di quanto letto.
Tutto ciò ammesso che capiscano.
Perché il grande problema del lettore medio italiano, statistiche ufficiali alla mano, è l’inadeguatezza a leggere e comprendere testi anche di media difficoltà.
In primis ci si mette la pigrizia, perché approcciarsi e interrogare un testo costa fatica, impegno, concentrazione.
Sforzo non necessariamente avvertito se allenato prima, come sa bene chiunque pratichi sport (non guardate me).
E siccome non tutti nascono Maradona, chi dovrebbe allenare alla lettura e a un approccio consapevole ai testi?
La scuola.
Ma la scuola evidentemente ha toppato.
Non ha educato negli scorsi decenni allo sviluppo di un pensiero consapevole tramite una relazione critica con le fonti.
E ci si relaziona criticamente con le fonti se anzitutto le si capisce.
E le si capisce se le si legge correttamente.
E le si legge correttamente se si conosce la grammatica.
E a giudicare dalla grammatica di tantissimi post, ma davvero tanti, stiamo messi proprio male.
E il perché la scuola abbia mancato in tal senso meriterebbe un altro post.
Ma la mia capacità di concentrazione finisce qui.
Non prima di aver ricordato che, finita l’emergenza, oltre che di sanità bisognerà parlare di istruzione.
Perché un’economia che galoppa in un Paese di moribondi e ignoranti serve davvero a poco, serve a pochi.
Incredibile, complotto, vergogna!

Ottimismo

Il Governo proroga la chiusura del Paese fino al 3 maggio.
Riaprono però le librerie.
Il che, statistiche alla mano, non fregherà niente alla stragrande maggioranza degli italiani (ultimi in Europa per numero e frequenza di letture; ci batte anche Andorra con la sua unica cartolibreria gestita dalla señora Marisol sul cucuzzolo dei Pirenei).
Tutt'al più un moto di disappunto: "E i peli superflui? Come ce li leviamo? Con le pagine dei 'Malavoglia'? E la ricrescita? Con l'inchiostro dei 'Promessi Sposi'?".
Così, solo per essere ottimisti sul futuro.

Barbaro d'uso

L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha deluso.
La Cina ha prima eluso e poi deluso.
Boris Johnson ha deluso e ora vive trasfuso.
Trump fuso, Putin astruso.
Il Papa confuso per quanto alle preghiere aduso.
Olanda vaffancuso.
L'Unione Europea ha deluso.
Il Governo ha deluso.
L'opposizione ha deluso.
Renzi, che è un po' governo e un po' opposizione, ha deluso.
Le Regioni hanno deluso.
Le Province, se ci fossero ancora, avrebbero deluso.
(Ah già, abbiamo votato per abolirle ma ci sono ancora. Quindi hanno deluso).
Il sindaco di ogni paese si è profuso.
Gli industriali hanno deluso (l'importante è non avere chiuso).
Complottisti, antivaccinisti e aperitivisti epidemici vedi alla voce 'ottuso'.
Un runner in piena quarantena è un intruso.
La quarta stagione della Casa di Carta ha deluso.
L'Atalanta ha illuso prima che venisse tutto chiuso.
Il Milan non ha deluso (sorry, il 'non' è un refuso).
Di erbe un infuso (qualcuno direbbe un abuso) con l'ultimo dei Pearl Jam in sottofondo soffuso.
Mascherine e guanti monouso.
Medici, infermieri, Protezione Civile, volontari gli unici a brutto muso.
Solo il virus ha mantenuto le aspettative, anzi le ha superate.
La prossima epidemia non mi troverà impreparato.

Il finale non in rima ha deluso.

lunedì 13 aprile 2020

E ora dove andiamo?

Ogni mattina, appena svegli, diciamo a Fede senza alzarci dal lettone: "Pronto per un nuovo viaggio?".
E cominciamo a raccontargli dei posti che mamma e papà hanno già visto e che lui un giorno vedrà.
Un po' per aiutarlo a vincere la noia delle mura di casa, un po' per ricordargli che là fuori c'è un mondo di luoghi da visitare e meraviglie da scoprire.
Ieri, guidava la mamma, siamo stati all'Ikea nel reparto scovolini per il bagno.
Oggi, tocca al papà, salto in un capannone dismesso dove da poco hanno inaugurato uno spaccio di birre artigianali.
Domani non escludiamo una capatina in discarica a portare fogliame secco e olio della friggitrice.
Tutto a parole, complice la fantasia.

Cosa chiesi?

Chiese aperte
Porti chiusi
Case chiuse
Party aperti
Quéso abierto
Casso c’entra?
Cose a parte
Porta a cosa?
Chiedi scusa
Per te chiesi
Scuse porte
Porse accuse:
Accise perse
Per te uccisi!
C’è sì speme
Per me chiosa
Eterno riposa
Gioco insulso
Barbara D’Urso.

Figuriamoci il resto

Mi mancano i giri in macchina di due ore e passa per trovare parcheggio all'Orio Center, per poi trovarlo, scendere, guardare l'orologio e dire "Ok, è ora di tornare a casa".
Mi mancano i falò con le signorine intorno che a tarda notte danno un po' di calore in più sulla Francesca o sulla Bergamo-Dalmine.
Mi mancano i buttafuori all'ingresso dei locali esclusivi, i loro sguardi scrutatori, la loro disapprovazione all'ingresso, la loro manona sul petto a comunicare "Tu non entri".
Mi mancano le stazioni e quella di Bergamo in particolare con la loro umanità varia ed eventuale, in mezzo alla quale stringi le chiappe e acceleri il passo.
Mi manca Bergamo blindata quando gioca l'Atalanta con tanto di agenti schierati, sirene spiegate e tifosi scortati.
Mi mancano le code interminabili al semaforo di Verdello.
Mi mancano le code in generale: all'anagrafe, in Posta, all'Inps, alla casetta dell'acqua.
Mi mancano i bar di paese con i loro ubriachi molesti e inopportuni.
Mi manca il mercato del mercoledì perché come si spettegola davanti a quello del pesce neanche dal parrucchiere.
Mi manca il parrucchiere perché non sono un amante del pesce.
Mi mancano troppe diottrie per riconoscere la gente quando saluta con la mascherina dal balcone.
Mi manca troppo per arrivare alla pensione, se ci arrivo.
Mi manca un casino quella persona ma non lo voglio ammettere.
Mi manca un tassello ma non lo riesco a trovare.
Mi manca tutto questo, figuriamoci il resto.

venerdì 10 aprile 2020

Mano a mano

Da Roma è giunto il via libera alle passeggiate all'aperto genitori-figli.
È dal 1984 che non vado in giro mano nella mano con il mio papà.
Di mezzo ci sono stati il suo tornare a casa stanco e nervoso dal lavoro, la mia adolescenza, la nostra burberitudine, il suo vedermi ormai grande, il mio sentirmi già grande, il suo scoprirmi non ancora grande ma maledetto orgoglio a non voler fare il primo passo, il mio scoprirmi non ancora grande ma maledetto orgoglio a non voler fare il primo passo.
Ora arriva questo provvedimento a colmare una distanza lunga decenni.
Grazie Corona, grazie Roma.

Rispar(mia)mi

Tòrture

Una tortora cova le uova nel vaso dei gerani.
Probabilmente nello stesso posto in cui una sua antenata lo faceva decenni fa.
Solo che al posto di mattoni, ferro e cemento c'era un accogliente ramo frondoso di gelso o di robinia.
Un'altra tortora - si intravede in alto sulla destra mentre spicca il volo - sta andando a raccattare dalla strada bastoncini del gelato o cannucce di plastica per il nido-letto dei nascituri.
Il suo antenato allestiva con rametti, foglie e fili d'erba.
La natura insomma, in questa fase di rintanamento forzato dell'essere umano, si riappropria di spazi e tempi antichi milioni di secoli.
E questo fa naturalmente - mai avverbio fu più appropriato - pensare.
Io ad esempio penso a perché diavolo non ho preso quella serpentina elettrica antivolatili in offerta da Leroy Merlin lo scorso mese.

mercoledì 1 aprile 2020

Papi h24

A parte video-lezioni, preparazione delle medesime e correzioni, il resto di questo tempo quarantenato lo passo a giocare con mio figlio.
La presenza di papà h24 è un'occasione da sfruttare e così fa.
Lui invoca e io soddisfo volentieri la richiesta, almeno all'inizio.
Ora dopo ora diventa uno sfinimento psico-fisico inversamente proporzionale alla sua euforia.
Alle 10 di sera reclama "Ancoraaa" mentre io supplico "Bastaaa".
Quando sogno, lui entra nei miei sogni e mi chiede di giocare.
Passata l'epidemia, credo sarò talmente a credito da non giocare più con lui fino ai diciotto.
Quando, un giorno, mi rinfaccerà di aver cominciato a giocare con droga e alcol in mia assenza.
Allora riprenderemo a giocare insieme.

Circolo ciccioso

Più uno non esce, più mangia a ogni ora in ogni angolo della casa.
Più uno mangia, più ingrassa.
Più uno ingrassa, più vorrebbe uscire per una corsetta o quantomeno una passeggiata.
Più uno esce, più si prende dell’untore.
Più uno si prende dell’untore, più si rintana in casa.
Più uno si rintana in casa, più mangia.
E via da capo.
Più che untori moriremo unti.

domenica 29 marzo 2020

Altro giro, altra corsia

Finito il tutto, mi riprometto una sbronza così epica da finire chissà come all’alba in riva al mare a mangiare pipistrello o pangolino o pangostrello o quel cazzo che era.
E tutto ripartirà da capo.

Ne uscirò

Ne uscirò sovrappeso, probabilmente single e con qualche nevrosi in più.
Tuttavia saprò a memoria il numero delle piastrelle di casa, dove leggermente sbreccate, tutti i possibili percorsi alternativi seguendone ossessivamente le vie di fuga.
Andrà tutto bene.

Relazionare

La solitudine forzata di questo periodo almeno un vantaggio ce l’ha, quello di aver fatto riscoprire l’importanza delle relazioni.
Si danno per scontate, vi ci si dedica poco, le si riscopre nei momenti di difficoltà.
Io ad esempio ne ho appena scritta una dettagliata da inviare al Commissariato a proposito di quel tizio in fondo alla via che neanche mezzora fa ha scavalcato le transenne del parchetto pubblico per portarci il figlio a fare su e giù dallo scivolo.
Viva l’attenzione per l’altro, viva le relazioni.

mercoledì 18 marzo 2020

Il coronavirus spiegato da mio figlio

Ispirato a più riprese da internet, ho deciso di spiegare la situazione a mio figlio come papà Benigni fa col proprio nel lager de “La vita è bella”: si tratta di un gioco, il nazista-coronavirus è l’avversario da battere, dobbiamo rispettare delle regoline per vincere.
Finora gli avevamo raccontato di una prolungata vacanza dall’asilo e dell’impossibilità di andare al parchetto perché stavano ricolorando i fili d’erba uno a uno in vista della primavera.
“Allora Fede, devi sapere una cosa: là fuori c’è un cattivone di nome Coronello che appena usciamo di casa ci fa venire un antipatico starnutello”
“Uhm... Sapevo invece trattarsi di un virus di probabile origine animale che partendo dall’Estremo Oriente è giunto a noi ed attualmente vede l’Italia, e la nostra provincia in particolare, come principale fronte emergenziale. I sintomi vanno da...”
“Ok, ok, ok...”
“Mi dispiace papà avertelo detto così... Magari i nonni ti avevano raccontato la storia di Coronello per farti stare più tranquillo”
“Magari”
“Ho capito, ci penso io: a cosa vuoi giocare?”

domenica 15 marzo 2020

Historia magistra vitae

Da amante e studioso della Storia, non mi era mai riuscito di capire quei grafici che, in occasione delle più celebri pestilenze dell'umanità (Atene 430 a.C., Firenze 1348, Milano 1630), mostravano un vertiginoso aumento delle scomposizioni familiari una volta superato l'evento.
Ma come? Scampato il pericolo, invece di fortificarsi nell'unione dopo giorni di convivenza forzata, 24 ore su 24 a stretto contatto, minuto dopo minuto nella stessa casa-rifugio, ci si diceva addio e ognuno per la propria strada.
Disgregante anziché collante.
Non mi tornava, non me ne capacitavo.
Da un paio di settimane mi è tutto più chiaro.

Torneremo presto

Io che non sono per natura un inguaribile ottimista, per una volta mi sento di dire che torneremo presto.
Che torneremo presto a sfiorarci, ad avere contatti ravvicinati, ad annullare le distanze.
Torneremo presto ad accalcarci negli stadi e cantare "Napoli colera".
A mettere le mani al collo ai genitori della squadra avversaria di quella in cui gioca nostro figlio.
A fare risse per futili motivi in discoteca o fuori dal pub.
A bullizzare i più deboli, a spingere spalle al muro quelli più in difficoltà.
A sputare verso coloro che ci fanno schifo, che "magari t'avesse portato via il coronavirus".
Torneremo presto a sgambettarci e azzuffarci per l'ultimo modello smartphone.
A guardarci in cagnesco e spintonarci ai buffet.
A fiatarci sul collo in Posta per far capire quanta fretta abbiamo.
Torneremo presto a insultarci nel traffico chiusi nei rispettivi abitacoli, tamponarci dal nervoso e scendere di scatto per venire finalmente alle mani.
A salutarci con abbracci forzati e bacetti al retrogusto di Giuda.
A scambiarci segni di pace mentre pensiamo "Proprio questo che mi sta sul cazzo!"
Cose che davamo per scontate e ora ci mancano.
Questione di responsabile pazienza e torneremo presto.

venerdì 13 marzo 2020

Son così

Son così chiuso in casa che faccio entrare volutamente le cimici per farmi raccontare come va là fuori.
Sto a tal punto nervoso che quando mio figlio al mattino mi rivolge il suo candido "Buongiolno papi" gli rispondo "Buongiorno un cazzo".
Ho livelli di paranoia tali da rispondere al telefono in viva voce a un metro di distanza.
Mi sento talmente nostalgico che ho ripreso a scrivere "Ehi, come stai?" a gente su cui avevo messo una pietra sopra.
Ho attacchi di malinconia così grandi da guardare il tramonto con un bicchiere di whisky in mano temendo possa essere l'ultimo (il whisky, non il tramonto).
Son così preoccupato che ho già preparato sul tavolo la scacchiera per la partita decisiva con la morte.
Ma resto talmente fiducioso da aver appena comprato il biglietto per i Pearl Jam a Imola del prossimo luglio, quando cantare "I'm still alive" acquisterà tutto un altro significato.

Ognuno sta(rnutisce)

Ognuno sta solo nel cuor della casa
trafitto da un colpo di tosse:
ed è subito quarantena.

mercoledì 11 marzo 2020

Quando la realtà

Come l’11 settembre.
Sembra di assistere a qualcosa oltre l’immaginazione.
Quando la realtà supera la cinematografia.
Scenari apocalittici che nemmeno in uno zombie-movie di Romero e prospettive a tal punto inquietanti che Cronenberg prenderebbe appunti.
E io che da dietro la finestra fisso la strada in attesa che Godzilla esca dalle viscere della terra mentre attendo l'annuncio radiofonico dello sbarco degli alieni nel parcheggione dell’Orio Center.
E invece vedo solo assembramenti di persone che se ne vanno in giro e avverto le loro risate irresponsabili e incoscienti.
E allora invoco Godzilla e non vedo l’ora arrivino gli omini verdi.

L'amore ai tempi del coronavirus

"Nene, e se ci sposassimo prima che tutto sia finito?"
"Finito l'amore o finito il mondo?"
"Non è forse la stessa cosa?"
"Risposta non so se romantica o idiota... E poi sai che in questo momento è vietata ogni cerimonia pubblica"
"..."
"Lo sapevi! Lo sapevi e me lo hai chiesto lo stesso! E io che per un istante..."
"..."
"Stronzo!"
"Puoi ripetere?"
"Stronzo!"
"Ah, ok. Per un attimo avevo temuto che il virus avesse modificato le mie abitudini, il mio modo d'essere, la mia natura"
"Stronzo all'ennesima potenza allora"
"Grazie. Il coronavirus non ci cambierà!"

martedì 3 marzo 2020

Punk's not dead

Al decimo giorno di emergenza sanitaria mi son chiesto cosa avesse capito Fede dell'eccezionalità del momento.
Niente asilo, tizi in giro con la mascherina, familiari in casa che si parlano a due metri di distanza (la novità è che si parlano).
Pretenzioso aspettarsi una risposta a "Cos'è il coronavirus?".
Gli ho chiesto allora di disegnarlo.
Praticamente un punk strafatto con le pupille dilatate e le braccia conserte dietro la schiena a osservare perplesso l'isteria collettiva.

mercoledì 26 febbraio 2020

Isolamento

Si sta
come d'epidemia
sugli scaffali
le penne lisce

E' tempo

Ho visto influenze di stagione assurgere al rango di epidemie virali.
Esperti online di bricolage e torte al porro fare diagnosi e dettare consigli su come sopravvivere al flagello.
Ho visto giornalisti e politici avvoltoi avventarsi sulla carcassa della verità per lucrarne audience e consenso.
Mascherine by Muciaccia schizzare alle stelle e tossici sotto i ponti farsi di amuchina.
Ho visto penne lisce abbandonate sugli scaffali di supermercati svuotati perché va bene morire di fame ma con dignità.
Coprifuoco ai bar oltre le ore 18 quando è risaputo che le più grandi tazzatrici e untrici sono le vecchiette del Negroni delle ore 11.
Ho visto rispettabili cittadini costretti in casa coi parenti stile neverending pranzodiNatale lanciarsi in strada a petto nudo invocando il virus come minore dei mali.
E tutti questi momenti andranno perduti nel tempo come starnuti nella folla.
È tempo di uscire.

Il terzo segreto

Riavvolgendo il nastro.
Il Papa a inizio anno schiaffeggia in modo poco papale la mano di una fedele orientale, sottolineo orientale, che cercava di attirarlo a sé.
Dubbio postumo: cosa sapeva già allora il Santo Padre sul coronavirus che noi non sapevamo?
Perché non l'ha condiviso?
Forse il terzo segreto di Fatima?
Il cui anagramma tra l'altro è Af Tiam, vale a dire il nome del paziente cinese numero zero.
E mi fermo qua perché mi faccio paura da solo.

La sete ai tempi del coronavirus

Non so voi, ma io in via precauzionale sto stipando birra in cantina come se non ci fosse un domani.
Che se non ci fosse, un domani, significherebbe berla tutta entro oggi.
E non accorgersi che arriva domani.
E vincere la morte da sbronzi.
O morire vinti dalla sbronza.
Che poi è la stessa cosa.

domenica 9 febbraio 2020

La nevicata dell'85

In questi giorni cade il 35mo anniversario della nevicata dell'85.
Avevo 6 anni.
Della nevicata dell'85 ricordo che nell'86 tutti a chiedere: "Te la ricordi la nevicata dell'85?"
Stessa domanda nell'87, nell'88 e così via fino al 35mo anniversario della nevicata dell'85.
Non ricordo altro.
Rispondo "sì" per educazione, per non deludere le aspettative altrui, per non sentirmi escluso dall'esclusivo club di quelli che c'erano e condividono il ricordo della nevicata dell'85.
Ma io non ricordo nulla della nevicata dell'85.
Io mi ricordo delle domande successive alla nevicata dell'85.
Tipo: "Te la ricordi la nevicata dell'85?"

giovedì 30 gennaio 2020

I'm still Alive

Serenità è:
- Fede al tavolo che disegna;
- la mamma in libera uscita;
- io che spadello mentre in sottofondo la radio passa i Pearl Jam.

Felicità è:
- Fede che alza gli occhi dal foglio e chiede: "Ma sono i Pe'Gieem?"

domenica 26 gennaio 2020

Gesù, ma chi li ha?

Scartabellando sul computer tra vecchi file scolastici, ho trovato un video di sei-sette anni fa in cui due studentesse, allora alle Medie, spiegavano tra trucco e parrucco la trama dei Promessi Sposi.
Ora vestite da Don Abbondio, ora da Lucia Mondella.
Divertendosi e divertendo.
In poche sequenze la spensieratezza e la complicità dei dodici anni.
Stamattina ho chiesto a quella delle due che è ancora mia studentessa, ora alle Superiori, che fine avesse fatto la compagna-amica di allora.
La risposta raccontava in sintesi di un altro percorso scolastico, di altre amicizie, di un’altra vita insomma.
“Sa com’è, prof... A volte le cose vanno così, magari senza volerlo. Semplicemente avvengono”.
In poche parole la disillusione e la solitudine dei diciotto anni.
“Non ho mai più avuto amici come quelli che avevo a dodici anni. Gesù, ma chi li ha?” (cit.)

venerdì 17 gennaio 2020

Le correzioni

In qualcosa evidentemente abbiamo sbagliato noi.
“Andate a fanculo voi”.
A quattro anni.
Com’è possibile? Quando? Dove l’ha sentito? Da chi?
Minimo dalla televisione o da qualche compagno.
“Andate a fanculo voi”.
E noi, appunto, dove eravamo?
Forse è già troppo tardi.
Comunque ci proviamo.
Richiami, rimbrotti, ramanzine; tutto il repertorio insomma di un genitore che prova a rimediare a qualcosa di evidentemente sbagliato.
“Andate a fanculo voi”.
“Eh no, Fede, ora basta! Si dice ‘Andatevene a fanculo’. Cribbio, figlio di insegnanti e così sgrammaticato. Cosa diranno gli altri? Che vergogna!”

giovedì 2 gennaio 2020

Coppia continua

Per durare come coppia bisogna sapere quando litigare.
Il momento esatto.
Perché alle coppie che non litigano io non credo.
Men che meno a quelle che lo fanno di continuo.
Se fosse un costante botta-risposta tanto varrebbe non scommettere nemmeno sulla durata della relazione.
E allora diventa importante il quando.
Io ad esempio mando giù mando giù e aspetto il momento giusto per dare di matto.
Possono passare anche giorni ma prima o poi l’occasione arriva.
È quando Irene, magari in piena fase di convivenza pacifica, butta lì un innocuo “Vado in bagno perché mi scappa forte forte”.
A quel punto le rinfaccio all’improvviso tutti i torti e le incomprensioni accumulati da giorni e giorni.
Un crescendo di sfogo che se ne frega della sua faccia stupita e termina con un secco “Ma vai a cagare, vai”.
Lei è presa in contropiede e non sa come interpretare il mio invito finale.
Nell’incertezza, e nel bisogno, va in bagno senza forza di replicare.
Poi torna e non osa chiarire il dubbio.
Io mi sento liberato.
Lei anche.
La coppia continua.