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giovedì 29 dicembre 2016

Controindicazioni

In questi giorni di indisposizioni, acciacchi e disfunzioni varie ed eventuali, ci ritroviamo tutti e tre a prendere pillole.
Speriamo di non confonderci, altrimenti a Irene rispunteranno i dentini, a me cominceranno a lacrimare di latte i capezzoli e al piccolo toccherà un'erezioncina di quelle lunghe lunghe lunghe.

lunedì 26 dicembre 2016

Babàro

Ma perché chiama “mamma” la mamma, “nono” il nonno, “sìa” la zia, “cino” il vicino, addirittura “babàro” il kebabbaro e a me dice “Dade” anziché papà?
Io posso chiamarlo “Fede”, “Chicco”, "Fefè", “FedeRocco” se voglio, ma lui non può chiamarmi “Dade”.
Cos’è questa confidenza?
Solo perché ogni tanto gli pulisco il culo?
Ma anche gli altri lo fanno (il vicino è capitato, il kebabbaro meglio non saperlo).
Cos’è? Vuole giocarsi sin da subito la carta di “Federico il figlio-amico” in vista di mance future e blande reprimende?
Ha da guadagnarsele, ha!
Cominci ad esempio a dare meno confidenza al vicino (il kebabbaro meglio non saperlo).

venerdì 23 dicembre 2016

La Fede

È in giorni come questi che ritrovi la Fede.
A suo modo aveva contribuito Irene a farmi allontanare da lei.
Da qualche tempo non mi ero neanche più chiesto dove fosse finita.
Agnosticismo credo che si dica.
E poi un giorno ti tocca bazzicare l'ospedale e te la ritrovi davanti: improvvisa, intensa, immaginifica.
Impossibile restarle indifferente.
Ti aggrappi a lei per trovare un senso.
E cominci a vedere tutto da un'altra prospettiva.
N.b. La Fede è una bonazza d'infermiera che avevo conosciuto il giorno della nascita di mio figlio.
N.b.b. Comunque tutto Bene (nel senso che assomiglia tutta a suo padre, il primario Benedetto De Pisis)
N.b.b.c. (doce "c" sta per "cautelativa") Non c'è che d'Ire (nel senso che non c'è nessun'altra al di fuori d'Irene)

domenica 18 dicembre 2016

Chi è davvero?

In questi giorni Federico è raffreddato.
In questi giorni Federico è affettuoso.
Io sul divano e lui sulle mie gambe, mi fissa dritto negli occhi e si slancia all’improvviso in un abbraccio impacciato.
Quindi risolleva il musino e lascia sulla felpa una scia di muco che neanche il calvario trascinato di un lumacone agonizzante.
Non so, non capisco: è affetto o mero utilitarismo? Mi vede come un padre o come un kleenex? Perché lo fa solo con me e non con la mamma? Che sia ella a eterodirigerlo? Oppure trattasi di un cinico piscialetto opportunista?
Ai suffumigi l’ardua sentenza.

giovedì 8 dicembre 2016

Mamhattan

Quasi sapesse del mio compleanno, ieri il piccolo Fede mi ha lasciato a bocca aperta.
Coincidenza, settimanale lavorio della mamma per farmi una sorpresa o qualche dio della verbalizzazione a muovere i fili, fatto sta che in piena colazione, a metà della fetta biscottata, Fede mi ha guardato, ha smosso le labbra e ha pronunciato: 'Mam-ma'.
"L'hai sentito!?!"
"Cosa?"
"Tuo figlio! Ha appena detto 'mam-ma'"
"Io, a dire il vero, ho capito 'Manhattan'"
"Su, non fare il gelosone. È un giorno importante!"
E la creatura che, con tempi teatrali perfetti, ripete ancor più distintamente quanto appena sillabato.
Doveva essere il 'mio giorno importante'!
Irene che si pulleggia, Fede che ripete all'infinito la prima parolina della sua vita, io che travaso mezza grappa nel latte per rendere il compleanno meno indigesto.

sabato 3 dicembre 2016

Senza parole

Poco fa mio figlio mi ha chiesto perché non parla ancora.
Non ho saputo cosa rispondergli.

mercoledì 16 novembre 2016

Bestiario casalingo

Animali individuati nella nuova casa (stanziali o anche solo di passaggio) a quattro mesi del trasloco:
- nido di calabroni;
- api varie ed eventuali (vespe, bombi, martinèi...);
- campionario di mosche per colore e dimensione;
- ragni in ogni angolo (e se la parete non è ad angolo ma tondeggiante, prima ci ricavano un angolo e poi ci si piazzano);
- uno scarafaggio zoppicante (forse traslato dalla vecchia casa in uno degli scatoloni, forse...);
- una specie di millepiedi di quelli lunghi e schifosi che non voglio nemmeno sapere come si chiama per non dargli confidenza;
- una mantide religiosa che solo Dio (appunto) sa com'è finita nel cassetto delle mie mutande (poco religiosa direi);
- una mandria di gnù in transumanza dalla cucina alla sala;
- tre uova di velociraptor che non vedo l'ora si schiudano;
- un chupacabra negli anfratti dell'armadio (cosa che ha costretto il Babao a fare le valigie: "Col cavolo che resto in questa casa!").

sabato 12 novembre 2016

E allora panna!

- Tagliare due porzioni a scelta tra mela, banana e pera;
- aggiungere un goccio di acqua Panna;
- frullare il tutto.

Ma perché deve precisarmi 'acqua Panna' (è l'unica che abbiamo in casa!)?
Perché non può scrivermi un 'goccio di acqua' e basta?
Teme non lo capisca? Mi sottovaluta a tal punto?
Mi sa di sì, perché invece di riportare sulla ricetta "da seguire scrupolosamente senza prendere iniziative, intesi? Mi raccomando! Ora io vado e tu ti occupi della pappa" un semplice 'acqua', lei deve affiancarci per precauzione la marca (cos'è? Ha paura che altrimenti usi quella della pucci?).
Fatto sta che se alla fine ho aggiunto mezzo bricco di panna anziché acqua è solo colpa sua e della poca fiducia nei miei confronti.
E Federico sembra aver anche gradito!
(Meno nella fase digestiva).

sabato 5 novembre 2016

Più in alto

La seconda parola imparata da Fede dopo 'mamma' è stata 'stronzo' ('stlonso' a dire il vero).
Non come sinonimo di papà o come avviso di imminente defecatio ma per tutte le volte che ce l'ha sentito dire ad ogni passaggio di Trump in televisione.
In pratica Fede dice in automatico quella parola ogni volta che riconosce il candidato repubblicano sullo schermo.
Il problema è che in paese ci sta uno pettinato come Donald Trump.
Ieri al parchetto Fede l'ha visto, l'ha indicato, gli ha sorriso, ha aspettato che si avvicinasse... e l'ha salutato.
Io mi sono limitato a spingere l'altalena più in alto.

sabato 29 ottobre 2016

Tu chiamale se vuoi...

Finalmente concediamo alle cuginette di fare il bagnetto a Federico.
Noi adulti in cucina a parlare, le bambine nella stanza accanto a giocare alle mamme.
A un certo punto ci raggiungono trafelate, ammutolite e rosse in volto.
Mi precipito in bagno e tiro un sospiro di sollievo: lavandolo, gli avevano provocato inavvertitamente la prima erezione.
Niente, domani passo all'Anagrafe e gli cambio nome in FedeRocco.

giovedì 20 ottobre 2016

Casa del ragno

Dicono che nei sogni i ragni portino guadagni.
Nella realtà portano solo spese: mega-swiffer ad altezza chilometrica scovato su e-bay a prezzi esorbitanti e fatto arrivare direttamente dalle foreste del Borneo, ritinteggiatura delle pareti dopo averne spiattellati una dozzina, kit anti-puntura, tickets del pronto soccorso, disinfestazione (inutile).
Una melodiosa reclame di quand'ero bambino recitava "Casa del bagno, casa del bagnooo...".
Definirei l'appartamento in cui ci siamo appena trasferiti la casa del ragno.
C'entreranno forse le travi lignee del soffitto tanto agognate da Irene (flashback: "Che bello, amo'! Fa molto baita! Prendiamola, prendiamola, prendiamola!") ma in ogni punto dell'abitazione puoi star certo di beccare il tuo bel ragno penzolante e freneticamente sghambettante: sopra la cappa mentre fai la pappa, sopra la tazza mentre fai la cacca (mai fatta la cacca così alla svelta).
Pro: Fede non ha bisogno sopra la culla delle classiche apette di cartapesta che girano in tondo.
Contro: non c'è alcuna traccia di altri insetti, evidentemente imbozzolati nelle tele assassine, a cui uno sin dall'infanzia si era comunque affezionato (mosche, zanzare, vespe, cimici). Mi mancano.
Se riuscissi a trasformare la selva di filamenti tira&molla in altrettanti led luminosi l'atmosfera a Natale sarebbe bellissima.

domenica 16 ottobre 2016

Specchietto per l'allodolo

Sono passati due mesi ma il trasloco non è ancora finito.
Un po’ colpa della pigrizia, un po’ dell’estate che si è messa di mezzo.
Un po’ di scatoloni ancora imballati, un po’ di cose parcheggiate nella vecchia casa.
Lo specchio del bagno ad esempio latita.
In queste settimane di barbe mattutine, in mancanza d’altro, ho supplito con una superficie quadrata sufficientemente riflettente nonostante alcune apine disegnate qua e là.
Trattasi del simil-specchio componente insostituibile della palestrina-gioco di Federico.
Insostituibile si fa per dire: al momento del bisogno lo sfilo dalle mani di Federico (che scoppia a piangere vedendo il doppio di sé sparire all’improvviso) e lo uso come accessorio da toilette.
Rasatura perfetta, pelle liscia, zero tagli.
A patto di seguire una semplice raccomandazione: non radersi la mattina presto post-sbronza quando cervello annebbiato e palpebra calante fanno sembrare vere api che vere non sono.

sabato 8 ottobre 2016

Un moscone per amico

Il miglior amico di mio figlio non è un orsacchiotto di peluche né l'anatrella gommosa della vaschetta da bagno.
Il miglior amico di mio figlio è un moscone vero, verde lucido, di quelli che uno associa subito allo sterco fumante delle vacche.
Si sono conosciuti un giorno a pranzo e da allora guai a separarli.
Il moscone cerca la compagnia di Fede per godere degli spruzzi di pappa che cadono qua e là a ogni cucchiaiata; Fede cerca la compagnia del moscone perché ne è attratto e divertito come per ogni cosa nuova che piano piano sta scoprendo.
La prima volta ho reagito da adulto-genitore schifato: straccio alla mano, ho provato a seccare con una frustata l'immonda creatura.
Non vi dico la reazione di Fede: urla, pianti, convulsioni da seggiolone, sciopero della fame.
All'inizio ho pensato fosse perché avevo centrato lui nell'occhio anziché l'insetto.
Ma anche le frustate successive, tutte a vuoto, provocavano la stessa isteria.
Avrei potuto dedicarmi alla caccia al moscone in un altro momento della giornata, Fede distante e dormiente, ma l'insetto non c'aveva mica scritto 'scemo' sulle alette: compariva puntuale solo in occasione dei pranzi, quasi sapesse dell'immunità di cui godeva.
Da quel giorno, ad ogni appuntamento col cibo, Fede non spalanca bocca se prima non vede planare a bordo piatto l'amico moscone.
A me non resta che confidare nei primi freddi autunnali e nella morte naturale delle mosche.
Ma è allora che cominciano a fare la loro comparsa le cimici...

giovedì 29 settembre 2016

Geni paterni

Federico ha cominciato a giocare col pimpinello.
Nel breve lasso di tempo del cambio-pannolino plana con la mano sinistra sul batacchio e se lo smanaccia in modo insistito e divertito.
Irene avverte materno imbarazzo e mi supplica di fare qualcosa.
Ciò contravverrebbe una promessa fatta a me stesso il giorno della paternità: non impedire a mio figlio qualcosa che anch'io faccio.

sabato 24 settembre 2016

Sangue e merda

Ho sempre avuto terrore del dentista e della sua strumentazione da aguzzino (a volte sogno un succhia-saliva gigante che scende all'improvviso dal cielo e mi aspira nonsodove).
Ogni seduta una battaglia con l'ansia perché non diventi panico vero e proprio.
Non sono mancati in passato svenimenti, conati e brevi pianti isterici.
Allora, quando l'ultima volta mi è stata proposta una nuova tipologia di intervento non invasiva al laser, ho detto sì subito senza neanche lasciar finire la frase.
Al posto di aghi, pinze e trapano un micro-raggio la cui delicatezza non abbisognava addirittura di anestesia.
Non l'avessi mai fatto.
Per quanto avvertito, a un certo punto vedo salire virgole di fumo dalla bocca accompagnate dal tipico odore acre di peli di pelle di pollo abbrustolito.
Nella testa un rapido sovrapporsi di immagini: carne rossa pulsante viva ustionata, torturatori che fanno parlare le spie con tizzoni ardenti, cowboy che marchiamo il bestiame, spiedini ad annerirsi sul barbecue, monaci buddisti che si danno fuoco, marshmallow carbonizzati.
Quanto basta perché i miei neurotrasmettitori inviino l'ordine allo sfintere di areare.
Appena snaso la cosa e prima che se ne accorga il dentista, faccio segno col pollice che va tutto bene e può pure aumentare il calore del laser.
Nella mia logica l'odore della gengiva ancor più bruciata dovrebbe coprire l'odore dell'ano rilassato.
Calcolo sbagliato, circolo vizioso, clamoroso autogol: l'aumento dell'uno provoca proporzionalmente l'aumento dell'altro.
Come in un romanzo pulp o in un film di Tarantino: sangue e merda, sangue e merda, sangue e merda.

sabato 17 settembre 2016

Ho sbagliato mestiere

Nei giorni precedenti il parto uno dei pensieri più ricorrenti era quello delle buffonerie che avrei messo in atto pur di far ridere Federico.
Su una in particolare la mia mente zuzzurellona si soffermava di continuo: la famigliola assembrata nella toeletta, lui reduce dal bagnetto in braccio alla mamma, io col phone spento/acceso/spento/acceso sulla sua faccia allo scopo di stupirlo e divertirlo, lui che a ogni getto d'aria si stupisce e diverte sempre più, io che andrei avanti all'infinito mentre Irene mi invita a piantarla.
Dalla fantasticheria si è poi passati alla realtà: la famigliola assembrata nella
toeletta, lui reduce dal bagnetto in braccio alla mamma, io col phone spento/acceso/spento/acceso sulla sua faccia, lui che a ogni getto d'aria s'infastidisce e piange sempre più, io che vado avanti all'infinito nonostante Irene mi inviti a piantarla.
È forse il momento di constatare che non sono un buon padre.
In compenso sarei un bravissimo parrucchiatore (torturatore specializzatosi con gli attrezzi da parrucchiere).

lunedì 12 settembre 2016

Attrazione fetale

Mio figlio ha sette mesi e manifesta un debole per le maniglie.
Ne è fisicamente calamitato: non riesce a non fissarle, toccarle, cicciarle se la distanza lo consente.
Non ha una predilezione particolare di forma o colore.
Finestre, porte, ante, comodini: basta che la superficie sia tondeggiante e lucida perché scatti la morbosa attrazione.
Ipotesi:
- è incuriosito dalla propria immagine riflessa e deformata (seguono quesiti: dato che guarda allo stesso modo me e Irene, com'è che ci vede? Che idea s'è fatto di noi? Mutanti dalle mammelle abnormi e dal naso pronunciato?);
- si interroga su ciò che mamma e papà citano di continuo: "Ora giro quella maniglia e me ne vado!" - "Ah, sììì? Sai dove te la puoi mettere quella maniglia?";
- da grande vuole occuparsi di serramenti;
- da grande vuole occuparsi di scassinare serramenti;
- è l'oggetto magico grazie cui raggiungere mondi fantastici al di là dell'uscio, dentro l'armadio o in fondo ai cassetti;
- è l'oggetto reale grazie cui sfuggire da mamma e papà;
- associa inconsciamente alla maniglia l'omonima posizione con cui mamma e papà l'hanno concepito (non chiedetemi quale fosse e come l'avessimo raggiunta).

sabato 10 settembre 2016

La prima parola (quasi quasi)

Mio figlio non parla ancora.
Tuttavia da un paio di giorni si sta sforzando di pronunciare "adlala".
Non i canonici "mamma" o "papà".
Bensì un desueto e tambureggiante "adlala", "adlala", "adlala".
Penso voglia dire "Adrara San Martino".
Ignoro il motivo per cui cerchi a fonemi di evocare il nome della ridente località bergamasca che con i suoi 1.908 abitanti si estende su una superficie pari a 12, 61 kmq.
Non ci sono neanche mai stato.
Ciò non toglie che mi renderebbe davvero orgoglioso.

sabato 3 settembre 2016

Sapidità

Oggi ho dato la pappa a Federico per la prima volta.
Mai preparata prima, mai imboccata prima.
Oggi m'è toccato perché Irene aveva un impegno fuori-casa proprio all'ora della pappa.
Allora mi sono messo ai fornelli, ho rigorosamente seguito le istruzioni lasciatemi da Irene in stampato maiuscolo con le parole-chiave sottolineate e ho preparato la sbobba.
Sbobba sì, perché, una volta assaggiata, non era possibile definirla diversamente: una brodaglia melmosa e insapore che solo una sbadilata di sale avrebbe reso appena appena appetibile.
E così ho fatto, e così Fede ha pappato.
Raccontata con un po' di vanto l'intuizione ad Irene, sono stato investito da una bordata d'insulti.
"Il sale? Come il sale!?! A un neonato non va ASSOLUTAMENTE dato il sale! Solo un INCOSCIENTE darebbe il sale a una creatura di sette mesi!".
Mi sono sentito una merdaccia fino a quando ho incrociato lo sguardo di Federico: soddisfatto e pieno di riconoscenza.
La sua strizzatina d'occhio è valsa la strigliata di Irene.

martedì 30 agosto 2016

Tranceloco

Trasloco.
In questi giorni di svuotamento armadi e riempimento scatoloni ho riflettuto sull'etimologia della parola.
Scartata la troppo banale "porre in un altro luogo" (dal latino "trans-locare"), suggerirei un'interpretazione alternativa.
"Trans" sarebbe l'italianizzazione di "trance": stato catatonico in cui si cade a fronte di cumuli di oggetti che si cumulano (mai visti prima e materializzatisi per comune e bastardo accordo), ordini e contrordini della coinquilina, cosecui tenevi e che credevi perse e che ritrovi per magia tra le intercapedini del mobilio.
Tutto ciò, in sincrono, provoca stupore, meraviglia, rincoglionimento, trance appunto.
"Locare" deriverebbe invece dallo spagnolo "loco" = "matto", quindi "ammattire, diventare pazzo" (per le stesse ragioni di cui sopra).
Quindi "trans-locare" = "passare dallo stato di trance a quello di follia".
Insomma, non starò mai più quello di prima.

venerdì 26 agosto 2016

Leggende da sfiatare

Leggenda vuole che il primo impatto di un bambino con l'acqua, per prendere confidenza con l'elemento, debba essere diretto, forte, drastico.
Perché tanto la natura è dalla nostra parte: io ti scaglio in piscina e tu torni a galla da solo.
All'inizio piangerai un po', ma poi ricorderai i nove mesi trascorsi a mollo in placenta e tutto ti sembrerà naturale.
Ecco, non è vero.
Da allora Federico comincia a tremare non solo di fronte a mare o piscina ma appena apro l'acqua del rubinetto, faccio scorrere la doccia, schiaccio lo sciacquone.
Altra leggenda vuole che, per vincere la paura dell'acqua, serva un rimedio diretto, forte, drastico: io ti ri-scaglio in piscina e tu ti accorgi davvero che torni a galla da solo.
Ecco, non è vero neppure questo.

sabato 20 agosto 2016

L'amo che verrà

Presente la scena del maschio che porta a spasso il cane nel parco e becca di brutto perché tutte le femmine che fanno altrettanto gli si avvicinano incuriosite (Che carino! Quanto tempo ha? Come si chiama? E il suo padrone?)?
Bene, moltiplicate per cento le probabilità di sorrisi, scambi di parola e appuntamenti all'indomani se a essere portato in giro è un bimbo piccolo (Che carino! Quanto tempo ha? Come si chiama? E il suo papà?).
In questi giorni di vacanza ogni occasione è buona per "Porto Federico a fare un giro", "Esco con Fede così ti rilassi un po'", "Non ne ho molta voglia ma credo che il piccolo desideri andare al parco", "Considerata la temperatura, credo sia scelta virtuosa quella di portare la creatura all'ombra dei platani e dei rododendri".
Promemoria per l'anno prossimo: non ritornare in Liguria dove la media età è di 84 anni.

venerdì 12 agosto 2016

Ancora un po'

Non avrei mai creduto di divertirmi così tanto al mare in versione genitore da spiaggia.
Federico che sorride perché coi piedini fa cic ciac nell'acquetta.
Le giovani mamme sulla battigia che sorridono perché vedono un papà giocare col proprio figlio.
Io che sorrido perché mi accorgo dei loro sorrisi.
Irene che mi tiene d'occhio da sotto l'ombrellone e che sorride perché pensa mi stia divertendo a farmi ustionare dal sole riflesso dal mare e a prendere le onde sulla schiena al posto di Federico.
Tutti sorridono e sembrano felici.
Non voglio più uscire.

mercoledì 10 agosto 2016

Che non si fidi di me?

È proprio vero che non smetti mai di conoscere tuo figlio.
L'altro giorno siamo andati tutt'insieme (Federico compreso) a fare la spesa al centro commerciale.
Prima di dividerci per gli acquisti concordati (uno io, 74 Irene - che non si fidi di me?), abbiamo lasciato il piccolo nella nursery appositamente allestita per i figli degli "spesanti".
Un luogo dove un personale giovane e addestrato intrattiene la prole altrui mentre i genitori sono impegnati nelle compere.
L'accordo era che all'ora convenuta ci saremmo ritrovati davanti alla suddetta nursery per prelevare il frugoletto e tornarcene a casa.
Fatto sta che, a giro terminato, precedo Irene di non pochi minuti (d'altronde a me spettava solo un acquisto - che non si fidi di me?) e mi metto a fissare il piccolo nel marasma di quel recinto popolato da cento altri bambini tutti uguali tra loro, reti-cargo anti-fuga, giochi a non finire, schiamazzi da Curva Nord, palline colorate dappertutto come polistirolo negli scatoloni dei traslochi. Una specie di girone dantesco smorza-desiderio-figli per i giovani adulti sottopagati costretti a rincorrerli.
A un certo punto sopraggiunge Irene da dietro con Federico in braccio e uno sguardo che esprimeva una serie di giudizi nei miei confronti oscillanti dall'idiota all'idiota (che non si fidi di me?).
È allora che mi sono chiesto: "Ma chi cazzo ho fissato per mezzora?".

mercoledì 3 agosto 2016

Degli stronzi

Anni fa, in occasione di una specie di gioco-test psicologico, mi era stato chiesto: "Piangeresti se qualcuno di fronte a te...?".
Ricordo di aver improvvisato un paio di risposte tra lo scontato e lo spiritoso.
Ma mai avrei creduto di piangere di fronte a qualcuno che caga.
Capita da quando adagiamo sulla tazza le chiappette di mio figlio al primo cenno di pupù in arrivo.
Lui si sforza, diventa amaranto, lotta per espellere qualcosa più grande di sé e io, che lo tengo per le braccia, mi commuovo e comincio a tirare su con il naso.
Vorrei aiutarlo ma non posso.
Scena patetico-sentimentale anche carina se finisse lì.
Invece non mi trattengo più neanche in giro: mi immalinconisco se sul parabrezza trovo bagole di piccione, mi struggo se vedo un cane evacuare per strada, mi trattengo a stento se qualcuno mi confida di essere andato di corpo dopo tre giorni di sedute a vuoto.
Conseguenze insospettate della paternità: io, noto per essere un po' stronzo, ora m'intenerisco per degli stronzi.

lunedì 1 agosto 2016

Incompreso

Irene mi rimprovera perché gioco con mio figlio solo quando rincaso ebbro d'aperitivo.
Ma quale compagna si lamenterebbe di un padre che gioca col proprio figlio tutti i giorni?

mercoledì 27 luglio 2016

Correzioni

Da un paio di giorni abbiamo cominciato con le pappe.
Il pargolo pare però non gradirle, gettando nello sconforto la mamma stanca degli agguati antropofagi alla mammella.
Come dare torto al piccolo d'altronde: si tratta di composti bitumici insapori, inodori e quasi incolori (eccezion fatta per la sfumatura grigia da lavandino otturato).
Allora ieri, stante la situazione e certo di non essere visto, ho aggiunto una goccia di Pampero all'impasto.
Un po' perché è lì da finire da una vita (eredità dei precedenti inquilini, che a loro volta...), un po' per aggiustare il gusto della sbobba.
Purtroppo Federico non ha avuto modo di assaggiarla.
Irene, nel classico gesto di chi prova il cucchiaino per convincere il destinatario della bontà del boccone, se l'è poi mangiata tutta.

venerdì 22 luglio 2016

Terzo incomodo

L'altra sera.
Evento pubblico con centinaia di persone.
Io, Irene e un amico in giro con Federico nel passeggino.
Una coppia di sconosciuti si avvicina.
“Ma che bel bambinooo! Avrà sicuramente preso dalla mamma e dal papà!”.
E poi rivolti a me: “Invece lei è?”.
Sessantenni, marito e moglie, i classici che dai toni (gentili e pacati come lettori di fiabe) e dai modi (lei sottobraccio a lui, postura fiera, sguardo sincero, larghi sorrisi) suggerirebbero cordialità e amor prossimo.
Suggerirebbero.
I dettagli in cronaca nera.

lunedì 18 luglio 2016

Differenze

Elenco delle differenze tra restare in sella a un toro meccanico in corto circuito e vestire un neonato dopo che ha scoperto la torsione del busto:
- nessuna.

mercoledì 22 giugno 2016

Ricorrenze - parte 3

Migliori svolgimenti sul tema in classe "Argomentate al morosino/a perché vi siete scordati per l'ennesima volta la data del vostro anniversario":
- "Sì certo, come no? Avanti a tranelli allora! Questo sì che fortifica la coppia, vero? Peccato io guardi al futuro mentre tu resti ancorata al passato" (vittimistico e ammutolente - voto 7,5);
- "Forse non me lo ricordo perché per me ogni giorno è il nostro anniversario" (paraculico ma efficace - voto 8);
- "Sarà che ti ho pensato tutta notte e credevo di aver festeggiato con te nei sogni" (altrettanto paraculico e altrettanto efficace - voto 8);
- "Fissare una data all'inizio del nostro amore? Sarebbe come accettare l'inevitabilità di una scadenza. Tipo yogurt: confezionato il... - da consumarsi preferibilmente entro..." (fermentilattico e incontestabile - voto 8,5);
- "Scusa, hai ragione. È che ultimamente la confondo con la data che avrei in mente per il nostro matrimonio..." (contropiedico e scaccomattico - voto 10);
- "Cioè, no dai, cioè... Quella cosa lì! Insomma, hai capito... Cioè, no dai, cioè... Chiaro, no?" (4 per la forma, 9 per la capacità di gettare l'interlocutore nel più assoluto caos interpretativo - somma voto: 13).
Direi che ho abbastanza spunti per l'anniversario dimenticato dell'anno prossimo.
Grazie ragazzi!
(Le ragazze si sono rifiutate di svolgere la traccia - voto: 2).

sabato 18 giugno 2016

Ricorrenze - parte 2

Alla fine l'anniversario era oggi.
A nulla è valsa la birra infiocchettata sul comodino di ieri.
Ella non disse nulla sperando oggi mi accorgessi dell'errore.
Oggi non mi sono accorto dell'errore.
(Però la birra ieri te la sei bevuta, eh?).
Ho abbozzato una difesa: "Maledetto anno bisesto che fa slittare in avanti tutto di uno!".
Quanto basta perché ci riflettesse sopra un attimo.
Quanto basta a me per sgattaiolare fuori di casa e pensare al tema a sorpresa da imporre in classe subito alla prima ora: "Argomentate al morosino/a perché vi siete scordati per l'ennesima volta la data esatta del vostro anniversario".
La fantasia degli adolescenti non la batte nessuno.
A breve un aggiornamento con le risposte migliori.

giovedì 9 giugno 2016

Ricorrenze

Tra pochi giorni è l'anniversario di me e Irene.
Che poi è lo stesso giorno del nostro VaffaDay.
E' che non ricordo mai esattamente quando è.
So che è a metà giugno ma non ricordo il giorno preciso.
Di solito mi viene una tardiva folgorazione a fine giornata.
Segnali nel corso della giornata che mi fanno avere una tardiva folgorazione a fine giornata: freddo saluto mattutino di Irene, zero messaggini pomeridiani di Irene, freddo saluto serale di Irene, nessuna cena preparata da Irene, lenzuola tutte tirate dalla parte di Irene.
E' a quel punto che mi ricordo dell'anniversario.
E' a quel punto che lei si ricorda del VaffaDay.

domenica 5 giugno 2016

Cecchino

Promemoria per il prossimo cambio-bebè:
- sfilare delicatamente pigiamino, body, calzini, pannolino: più che rodato;
- azionare il getto d'acqua del lavandino e attendere che si scaldi: da manuale;
- infilare nel frattempo la faccia tra i suoi piedini e massaggiarsi le guance: buffo e rilassante allo stesso tempo;
- chiudere gli occhi, aprire la bocca e cadere in stato catatonico,: da evitare causa fiotto di pipì improvviso e millimetrico.
Comunque sapeva di vodka alla pesca... Tana per Irene!

mercoledì 1 giugno 2016

Arrovellamenti

A fine giornata, un attimo prima di chiudere gli occhi, imbozzolato nelle lenzuola tra stanchezza e sonnolenza, non passo notte senza che mi chieda se sono un buon padre, se faccio tutto il possibile, se avverto il peso delle responsabilità.
E ogni notte rispondo: "Ok Irene, ho capito. Me lo hai chiesto anche ieri. Mo' ci penso. Te lo giuro. Intanto buonanotte anche a te".

sabato 28 maggio 2016

C'ero quasi

Stamattina Federico ha tentato a più riprese di infilarsi il ciuccio da solo.
Lo vedevi cercare con la manina il succhiotto nella culla, riconoscerlo a tatto e ghermirlo, calibrare lo slancio del braccino e planare sulla bocca immancabilmente fuori misura di qualche centimetro.
Un po' come quelle macchinette del luna park afferra-peluche, quella specie di ragni meccanici che manovri con una manopola e lasci cadere nel mucchio sperando resti impigliato qualcosa.
Quelle per cui ti innervosisci e cominci a sbatacchiare la macchinetta perché all'ultimo ti sei accorto che il "ragno" sta cadendo nel posto sbagliato e non afferrerà nulla. Manate sui vetri, scossoni e imprecazioni.
Stamattina ho fatto la stessa cosa con la culla: volevo vincere!
Ne ho sentite su una sbarca.

lunedì 23 maggio 2016

Lezioni di amore

L'altro giorno in classe, seconda superiore, quindici-sedicenni, niente lezione ma problemi di cuore.
Al bando i Promessi Sposi e vai di confidenze.
Casini amorosi, bisticci, parziali ravvicinamenti, nuove incomprensioni, capricci, dispetti, chiarimenti, fraintendimenti, musi lunghi, saluti imbronciati, emoticon incazzati, squilli a vuoto, t.v.b. disperati, messaggini di scuse, faticose rappacificazioni.
Poi ho chiesto ai ragazzi se anche per loro fosse così.

sabato 21 maggio 2016

Un pezzo di strada insieme

Il bisticcio tra auto è praticamente un rito propiziatorio mattutino.
Una specie di haka maori su quattro ruote: la carica che ci si dà facendo paura al resto del mondo, nello specifico al guidatore imbranato di turno (che si ritiene tale).
È come se tempo, velocità, spazio e abitacolo, la garanzia cioè di non poter venire alle mani, autorizzassero gli istinti peggiori: clacsonate furenti, gestacci trogloditi, labiali più che espliciti.
L'unica premura è che l'altro incroci lo sguardo tramite lo specchietto e venga investito dal raptus liberatorio.
Poi ognuno per la propria strada e la giornata può cominciare.
Almeno per me è così: il mio Mr. Hyde prima di diventare Dr. Jekyll.
Fino all'altro giorno non mi ero mai posto il problema di rincontrare nel corso della giornata qualcuno mandato a quel paese giusto qualche ora prima con tanto di dito medio a indicare bene la strada.
Ho intuito che la cosa di per sé non è impossibile quando, al termine di un colloquio a scuola, nel corso del quale avevo fatto presente il comportamento poco educato e irriguardoso del figlio in classe, il genitore s'è congedato con un "Stamattina comunque ce l'avevo io la precedenza".

domenica 15 maggio 2016

In proporzione

La cosa mi ha divertito sin da subito.
Fare da cavia a mamma Irene così da convincere bebè Federico dell'innocenza del gesto.
Mi spiego meglio.
Lavare i capelli sotto il getto di acqua calda?
Farlo prima al papà e vedere che non c'è niente da piangere.
Pulire le narici intasate con le apposite fialette sciogli-muco?
Farlo prima al papà e ridere per le facce buffe che fa.
Cambiare per la prima volta il pannolino quello con le alette fastidiose?
Farlo prima al papà con un finto pannolino di cartone sagomato e colorato in giornata dalla mamma. Tutto in proporzione naturalmente.
La cosa mi ha divertito sin da subito fino a stamattina, quando in pieno sonno ho spalancato gli occhi sperando di aver capito male.
"E ora Federichino, se vogliamo far passare questo febbrino, dobbiamo infilare la suppostona nel sederino".

lunedì 9 maggio 2016

A furia di fissare la luna, il viandante finì nel pozzo

Con la paternità credevo avrei avuto più paranoie.
Tipo la copertina soffoca-sonno, gli spigoli-assassini, i batteri virulenti ovunque.
Invece niente.
A parte una cosa strana, irrazionale, ancestrale se volete.
La paura che, quando siamo in giro con il passeggino, una qualsiasi cosa precipiti dal cielo sulla testa di Federico.
Come gli asteroidi con i dinosauri, le pallonate con gli spettatori distratti, le cagate di piccione sulla giacca della festa.
Come un'incudine sulla capoccia di Willy il Coyote.
Fateci caso la prossima volta che mi incrociate: ogni due per tre guardo in alto pronto a spostare la carrozzina in caso di pericolo.
E puntualmente il pericolo non si manifesta.
L'altro giorno, a furia di scrutare le minacce celesti, sono andato a sbattere con la carrozzina contro un lampione.
Classica scena comica dei film in bianco e nero.
E infatti ho riso tantissimo.
Federico meno.

sabato 7 maggio 2016

Scoprimenti

È la fase in cui voglio (ri)scoprire con mio figlio tutte le cose della vita che lui ancora non conosce e che noi adulti diamo per scontate.
Ieri sera ad esempio l'ho portato sul balcone a scoprire la pioggia.
Stamattina abbiamo scoperto il raffreddore.
Lo sguardo incazzato della mamma l'avevamo scoperto già.

sabato 30 aprile 2016

Adorabili speronatori

Il giretto domenicale nei budelli congestionati di Città Alta con tanto di passeggino a fendere la folla era una delle cose che più temevo.
E facevo bene.
La scorsa domenica è stata una via crucis dalla Marianna alla funicolare tra conoscenti che non incroci per un anno in paese ma puntualmente becchi altrove, ingorghi di turisti tedeschi in sandali e calzettoni, sconosciuti impiccioni cui smorzare subito gli entusiasmi ("Ma che carinooo!" "Grazie ma sono impegnato").
Poi, a metà percorso, l'involontaria scoperta che con un bebè tutto è concesso.
Anche quello che normalmente provocherebbe diverbi se non spintoni.
Poco prima di Piazza Vecchia, causa maldestra manovra con la carrozzina, ho azzoppato un'anziana signora che mi precedeva nel passo.
Praticamente ho calcolato male le misure e con le ruote anteriori le ho quasi reciso il tendine.
La vittima, fino a quel momento spensierata e garrula nel vestito della festa, s'è girata di scatto mordendo a stento una bestemmia che chiedeva solo di essere pronunciata.
A fermarla non il Cristo che le penzolava al collo né la vicinanza del nipotino cui aveva stritolato la mano al momento dell'impatto (lui la bestemmia l'ha pronunciata per intero), bensì la vista di Federico.
Tanto è bastato a spegnere sul nascere quella che sarebbe altrimenti diventata un'accesa discussione.
Allora c'ho preso gusto: per la rimanente parte del tragitto ho ammazzato la noia puntando dritto alle caviglie delle persone. E tutte le volte la stessa trattenuta reazione.
Quando io e un altro papà col passeggino c'incrociavamo, sguardo d'intesa e numero di talloni centrati con le dita della mano.
C'è gente più brava di me.
Domenica altro giro in Città Alta.

sabato 23 aprile 2016

Esiste!

Primo anno al Vinitaly col piccolo Federico.
Bilancio agrodolce di fine giornata.
Notizia negativa: a un certo punto ho smarrito Federico (ricordo che ha 4 mesi e vive ancora nel passeggino).
Notizia positiva: l'ho ritrovato esattamente dove l'avevo dimenticato, vale a dire nello stand del Molise.
La notizia positiva è che quindi il Molise esiste.

sabato 16 aprile 2016

Ma-

Finita la fase dei versetti e dei suoni gutturali, siamo alle prime sillabazioni.
O meglio, alla prima sillabazione: "ma-".
A un passo dall'estasi la mamma, bruciante secondo posto per il sottoscritto.
Ma non è ancora detto!
Quando Irene si assenta, vado di bombardamento fonetico sul piccolo.
In pratica gli prendo il faccino tra le mani, lo obbligo a fissarmi le labbra e lo tempesto di alternative: "ma-mmut", "ma-chete", "ma-astricht", "ma-icol jackson", "ma-ioliche di Faenza", "ma-remma maiala" (anche solo "ma-iala" va bene).
Nel caso arrivasse a pronunciare per intero la parola "mamma", ho già pronto il secondo raid:
"Mamma... mo' hai rotto!";
"Mamma... questo è stalking!";
"Mamma... ancora una parola e ti denuncio!";
"Mammalucca... cosa ti credevi?";
"Mamma... li Turchi!" (riferito al kebabbaro sotto casa).
Se infine, malauguratamente, dovesse dire "mamma" con tanto di sorrisone e occhi sberluccicanti, allora scatterebbe il Piano C: "Mamma, ragionavo su quanto sei stata fortunata ad incontrare un uomo così!".

sabato 9 aprile 2016

Abbasso la fuga!

Ogni anno scolastico, puntuale, arriva il giorno in cui non vorrei andare a scuola.
Non è il giorno dei colloqui coi genitori né quello degli scrutini.
Indiscutibilmente due momenti di gravose responsabilità, ma non quanto quelle dell'attimo a cui faccio riferimento. Perché poi di attimo si tratta: pochi interminabili secondi.
È il giorno in cui arrivo a leggere un passo dell'Eneide in particolare, quello dell'amore tra il mitico Enea e la regina Didone.
Non è il tragico amore in sé a mettere a disagio la mia sensibilità - figuriamoci - ma come è stato tradotto dal latino sulle pagine dell'antologia.
A dire il vero si tratta di un solo verso: "Egli si diede alla fuga mentre lei provava ancor più pene".
Ora, amico traduttore, passi preferire "pene" a "dolori", "sofferenze", "struggimenti" o "afflizioni".
L'avrai trovato più diretto, più efficace, che ne so.
Ma "fuga"... Con quella "u" traballante pronta a essere sostituita da una "i" inopportuna appena si declama ad alta voce la frase. Magari con un'enfasi da attore shakespiriano per sottolineare la drammaticità della scena.
Perché, ogni anno, in quei pochi frangenti in cui il pensiero precede la sillabazione della parola, è una lotta titanica tra ciò che dovresti leggere e l'associazione licenziosa che ti passa per la testa.
Ogni anno una lotta interiore tra il me stesso professionale e la mia parte birichina.
Ogni anno una vittoria al fotofinish dell'adulto posato sull'eterno adolescente.
Ogni anno la soddisfazione di aver infine pronunciato giusto e spento sul nascere le risatine dei ragazzi.
Ogni anno fino a ieri.
Abbasso la fuga!

sabato 2 aprile 2016

Incontri ravvicinati della terza età tipo

All'inizio era motivo di vanto e orgoglio.
Fare un giro col passeggino in paese per condividere con la comunità le gioie della paternità.
Per la serie: "Ebbene sì, questo è mio figlio!".
Ancora oggi è così quando incrocio amici e parenti.
Ma non con gli 'altri'.
Gli 'altri' sono tutti coloro che non ricordo minimamente chi siano.
Di solito signore sulla sessantina che evidentemente mi conoscono ma di cui non posso dire altrettanto (forse amiche della mamma che un giorno, dicesi uno, mi tennero in braccio da bambino o forse sconosciute dispensatrici di caramelle dei tempi dell'infanzia giunte oggi a elemosinare in cambio un barlume di confidenza).
Fatto sta che non le reggo più: interrompono la camminata ogni cinque metri e la dilatano all'inverosimile (a volte ho paura di tornare a casa ed estrarre dal passeggino Federico diciottenne).
Sbucano lungo il tragitto come zombie di The Walking Dead e si avventano sulla privacy per farla a brandelli.
Le mie risposte, in un primo momento puntuali e garbate, sono diventate nell'ultimo periodo leggermente più sbrigative e risolute, al punto che la conversazione si interrompe sempre dopo un solo scambio di battute.
"Ma che bello! Da chi ha preso?" "Da quello che ritira l'umido il mercoledì mattina".
"Com'è che si chiama?" "Ahmed. Di questi tempi non si sa mai".
"Quanti mesi ha?". "Boh. Comunque è ancora in garanzia".
"Mangia regolarmente?". "Eccome. Dovrebbe vedere poi quando è in chimica".
"Di che colore è la cacca?". "Pervinca con striature cremisi".
"Vi fa dormire la notte?" "Sì. Siamo noi che non facciamo dormire lui".
"Chi lo cambia?" "Nessuno".
E la passeggiata riprende.

venerdì 25 marzo 2016

Sh sh sh

Tra le poche cose efficaci dei tanti libri teorici per neonati di cui si è circondata Irene, c'è questa storia del "sh sh sh path" (in italiano "il sentiero del sh sh sh").
Praticamente, per indurre il sonno all'infante, basta sussurargli ripetutamente "sh sh sh".
E funziona.
Solo che 'sta cosa poi rimane addosso e non te la levi più.
In classe, ad esempio, ha preso il posto del vecchio e imperioso ssssssSSSSSSSSH! con cui zittivo il chiacchiericcio nel corso delle verifiche.
Un sibilo che partiva in sordina, senza neanche alzare gli occhi dal reistro, e poi via via cresceva fino a esplodere nello SH! finale, pietra tombale di qualsivoglia brusio senza diritto di replica alcuna.
Ora mi viene spontaneo fare "sh sh sh".
Quando sollevo lo sguardo, ne becco sempre due o tre che si sono addormentati con la faccia sbavosa sul foglio. Liceali-poppanti appunto.
Lo stesso libro mi ha insegnato a non svegliarli bruscamente: aspetto che abbiano fame o debbano essere cambiati.

domenica 20 marzo 2016

Defecangioletti

Da un po' di volte, mentre gli cambiavo il pannolino, lo vedevo fissare l'angolo del bagno alla sua sinistra, lì dove le pareti convergono, e ridere, ridere, ridere a crepapelle.
Potevo anche tronchesargli le unghiette o scaccolarlo con vigore (attività che in altre zone della casa provocavano pianti a dirotto) e lui rideva, rideva, rideva.
Se con la forza (un'amorevole forza, s'intende) gli stortavo il capo dall'altra parte, s'incupiva all'improvviso; appena mollavo la presa, tornava a fissare quell'angolo della stanza e riprendeva subito a ghignarsela.
Eppure, a voler ben guardare, niente di speciale in quel punto: nessuna salvietta colorata, nessuno specchio riflettente, nessuna mensola porta-piante.
Niente che potesse stimolare la fantasia di un neonato; solo noiose fughe di piastrelle in perpendicolare convergenza tra loro.
Poi un giorno Irene mi ha dato, col candore che la contraddistingue, la spiegazione: vede gli angioletti e per questo ride.
Anziché risponderle con una grassa risata, ho preso la storia per buona vista la reazione ilare sul faccino di Federico.
Poi, giorno dopo giorno, la cosa ha iniziato a inquietarmi: non sono più riuscito a fare nulla in bagno senza sentirmi osservato.
Ho cominciato a immaginarmi biondi spiritelli boccoluti e alati prendersi beffe della mia intimità.
Da cui vasche straripanti schiuma per celare le pudenda, bidè frettolosi all'acqua di rose, interminabili quanto improduttive sedute sulla tazza.
Un giorno infine, esasperato dall'ennesima infruttuosa corsa in bagno, ho scagliato il rotolo di carta igienica in direzione dell'angolo infestato.
Devo averli centrati, o quantomeno sfiorati e offesi.
Da allora Federico ha smesso di ridere.
Ma io ho ripreso a defecare.
Meglio un figlio musone che un padre stitico.

sabato 12 marzo 2016

Gitainaereofobia

Se un professore esercita un minimo di autorevolezza, non dovrebbe mai andare in gita su un aereo coi propri alunni.
Soprattutto se il professore in questione ha una fottuta paura di quella supposta svolazzante ricoperta di lamiera che gli altri si intestardiscono a chiamare, appunto, 'aereo'.
Non è il massimo avvertire lo schianto imminente alla sola accensione dei motori (quando, per intenderci, il velivolo è ancora fermo) mentre tutti intorno fanno rumore: ragazzi che si rincorrono, sbraitano, sghignazzano, si inerpicano.
Ma non lo sanno che stiamo per sfidare le leggi della fisica umana e staccarci innaturalmente da terra?
Camminare è da mo' che ci appartiene, nuotare tutto sommato ce la caviamo, scavare a mani nude non risulta impossibile se dotati di unghie affilate e buona lena.
Ma volare no, non è dato coi due arti superiori implumi che ci ritroviamo.
Eppure loro se ne fregano e si comportano come su una corriera qualsiasi, di quelle ben aderenti alla strada che ogni giorno li porta a scuola.
Io no, non riesco a fregarmene.
E finché si tratta di una lotta interiore, allora è affar mio e basta. Ma quando l'apprensione traspare in forma di sguardo vitreo, sudore freddo, mani marmorizzate ai poggioli del sedile, mutismo catatonico ("Profe? Profe? Perché non risponde?"), allora la questione diviene di dominio pubblico e si salvi chi può.
"Guardate il prof! Sembra noi quando estrae a sorte il nome dell'interrogato! Oggi precipita, oggi precipita... Ferrari! Fuori! Senza paracadute!".
Fusoliera: "Ahahahahahhah".
"Scommetto che la regolina dell'acca adesso non è così importante. Ho forse sbaglio? Ho forse sbaglio? Ho forse sbaglio?".
Fusoliera: "Ahahahahahhah".
"Ehi prof, mi riconosce? Ma sì dai, quello a cui dà sempre 4. Ecco, l'unica cosa che ho studiato quest'anno è come prevenire gli attacchi di panico, perciò le suggerisco... Ops, un vuoto di memoria...".
Fusoliera: "Ahahahahahhah".
Anche il secchione di solito impassibile in classe, quello simbiotico col banco assegnatogli all'inizio dell'anno, quello cui vi affidavate per uno sguardo solidale durante il viaggio, scrolla il capo e pronuncia al rallentatore uno sconsolato 'SFI-GA-TO".

Decollati e atterrati sani e salvi.
Lezione imparata.
I ragazzi non so.
Nel dubbio domani interrogazione a tappeto. O forse sbaglio?

domenica 6 marzo 2016

Scelta indifferenziata

A volte temo di entrare in bagno e trovare dei gabbiani appollaiati su una piramide di pannolini che neanche in una discarica della periferia di Nairobi.
Lo sfintere ha delle ragioni che la ragione non conosce: incredibile quanta cacca possa sgorgare dal culetto di un neonato!
La soluzione è stata allora quella di infilare il materiale organico in un sacco nero da tenere sul balcone (il che ci costerà qualche recensione negativa su TripAdvisor) in attesa del giorno stabilito dal Comune per la raccolta dell'indifferenziata.
Peccato che il sacco debordi in clamoroso anticipo rispetto al giorno stabilito.
L'intuizione è stata allora quella di parcheggiare momentaneamente l'immondo fagotto in garage.
Apriti cielo!
"Ma ti sei rimbecillito? Tutto quel lerciume in uno spazio non areato per giorni e giorni... L'epidemia di peste del 1348 è cominciata così!".
"Rimane la discarica".
"Ma ti sei rincretinito? Già che ci siamo stendiamoli in piazza... I pannolini sporchi si lavano in famiglia!".
"E allora cosa suggerisci?".
"Basta informarsi sul giorno stabilito per la raccolta dell'indifferenziata di tutti i Comuni vicini".
"E secondo te io dovrei sbattermi a fare una ricerca su internet se va bene un giro di telefonate se va male, costruirmi una tabellina su dove si ritira quando, aspettare il calar delle tenebre, caricare il sacco nero in macchina come il più losco degli individui, raggiungere il paese in questione e scaricare la merda di tuo figlio fuori dalla casa di ignare persone che da quel momento verranno soprannominate 'i cagoni' dal resto della comunità? Te lo scordi!".
È esattamente quello che ho fatto l'altra sera.
Chiedo scusa ai signori Defendini di Verdello.

sabato 27 febbraio 2016

Ho deciso

È che non mi viene naturale.
Fa presto Irene a dirmi: "Gioca un po' col bimbo, dai! È lì che non vede l'ora!".
A parte che dopo due mesi di vita credo che il pargolo mi abbia ormai identificato con la metà pacata e impacciata della genitorialità e se ne sia fatto una ragione.
A parte ciò, non c'è nessun blocco freudiano da parte mia.
È semplicemente troppo piccolo perché possa interagire: non parla, non calcia, non lancia, non corre, non salta, non mischia le carte.
Come si fa a giocare con una creatura che tutt'al più sgrana gli occhi, rutta, scoreggia, gesticola a casaccio e si capotta?
Altro discorso quando rientro da un lungo aperitivo solitario e lo strappo dalla carrozzina, lo lancio sul tappettino dei giochi, scosto Irene che cerca di fermarmi e lo sovrastimolo fino allo sfinimento: giochi di parole, braccio di ferro, indovinelli, ginnastichina al ritmo dei Nirvana, shangai, stornelli in romanesco e tutto quello dettatomi dall'euforia del momento.
La birra doppio malto come propellente all'interazione tra padre e figlio?
Mi sono allora immaginato un futuro di gare di corsa a chi arriva per primo in casa in cui inciampo e sbiascico scuse inverosimili, di partite di calcio in cui lo centro col pallone e scoppio a ridergli in faccia, di spinte sull'altalena in cui mi distraggo e mi ritrovo svenuto per terra, di contese a Scarabeo in cui gli rubo di nascosto le lettere e lo spintono se mi accusa di aver barato, di sfide a Monopoli in cui sbocco su Parco della Vittoria.
Allora in via preventiva ho deciso di smettere.
Di giocare con mio figlio.

domenica 21 febbraio 2016

Lui piangerà perché

A seguire il mio personale contributo alla pediatria moderna.
Il bebè piange perché:
- ha carpito la frase rivolta al papà "Adesso prendilo un po' in braccio tu senza farlo più cadere";
- ha sonno (il che non significa che poi dorma, ha semplicemente sonno e vuole che si sappia);
- ha visto una tribuna politica dal primo all'ultimo minuto, occhi sbarrati davanti alla tele, complici mamma e papà addormentatisi ai due lati del divano;
- ha fatto un brutto sogno nel cuore della notte e si è svegliato singhiozzando (almeno così mi racconta la mattina dopo Irene: e chi se n'era accorto?);
- ha fame (il bebè);
- ha fame (la mamma, e il bebè sa che verrà snobbato per almeno tre quarti d'ora abbondanti, ammesso non ci siano anche secondo, frutta, limoncello e dolce);
- ha ricevuto una spallata dal papà nella gara per accaparrarsi il capezzolo della mamma;
- ha problemi di aria nello stomaco, riflusso, coliche (non in alternativa l'uno all'altro, tutti e tre assieme naturalmente);
- ha il pannolino pieno di pupì (perché si tratta di un pastrugno delle due cose, una specie di blob pulsante e maleodorante) e reclama il cambio della mamma (non nel senso in cui lo reclama il papà);
- ha sentito la parola "garage" che ormai associa a quella volta che il papà ha tirato giù in fretta la saracinesca col dubbio di aver dimenticato qualcosa, o meglio qualcuno, dentro;
- ha bisogno di attenzioni ma il papà lo ignora perché deve scrivere al computer che suo figlio ha bisogno di attenzioni.

venerdì 12 febbraio 2016

Sillogismo lacrimevole

Mio figlio non piange mai.
Almeno non in mia presenza.
Il pianto esiste fintanto che lo senti.
Se non lo senti, il pianto non esiste.
Se Irene è fuori casa e io rimango solo col bambino e capisco che il bambino sta per piangere, lo abbandono nella carrozzina e mi fiondo al bar a bere una birra.
Se al bar mi chiedono: "Ma tuo figlio piange?", io rispondo: "No, almeno non in mia presenza".
Se Irene mi chiama per dirmi che sta tornando, mollo la birra a metà e mi precipito in casa, dove il bambino sta fragorosamente piangendo chissà da quanto.
Quando Irene entra in casa e mi chiede: "È da tanto che piange?", io rispondo: "Praticamente da quando sei arrivata tu".
Lei ci rimane così male da mettersi a piangere.
Ma a quel punto io sono già altrove (a finire la birra).

venerdì 5 febbraio 2016

Piccole ghiandole crescono

L'altro giorno, in assenza temporanea di Irene (letto, bagno o sigaretta di nascosto), mi sono ritrovato seduto sul divano col pupo in braccio che a un certo punto cercava a occhi chiusi di attaccarsi a non so quale capezzolo come solo un cucciolo guidato dall'istinto farebbe.
All'inizio la cosa mi divertiva, poi ha preso piano piano sopravvento il mio lato femminile (fino a quel giorno saltuariamente emerso in occasione delle comparsate televisive di Gabriel Garko) e ho cominciato a desiderare le tette (in modo diverso, però, da come le avevo sempre desiderate sin dall'adolescenza).
Ora, in assenza temporanea di Irene, mi precipito pupo in mano al frigo ed estraggo il biberon d'emergenza in cui Irene ha precauzionalmente travasato un po' del suo latte, mi risiedo con calma sul divano e sollevo leggermente la maglia fino ad altezza addominali.
Quindi infilo il biberon sotto ascella e fingo di allattare la creatura come una mamma qualsiasi.
Il tutto accompagnato da una voce castrata (la mia) che sottolinea ogni fase dell'operazione, del tipo: "Bene, adesso Federico approfitta del seno del papà e ci dà dentro. Vero Federico?".
Ultimamente ho quasi l'impressione che le ghiandole mammarie mi si siano leggermente ingrossate.
Potere dell'autosuggestione, non lo so.
Domani faccio un salto al Tigotà e compro due coppette contieni-latte, non si sa mai.

sabato 30 gennaio 2016

Contenimenti

Altra notte in bianco.
Quest’ultima all’insegna di ruttini e scoreggine.
Nonostante gli esercizi di training autogeno imparati al corso pre-parto, a un certo punto non ce l’ho fatta più.
Avvolto dalle tenebre, ho dato una scrollata come si deve e ho sibilato: “Contieniti che il bimbo dorme!”.

domenica 24 gennaio 2016

Decalogo (più uno) del padre imperfetto

Dieci più uno comportamenti che mi fanno dubitare sul mio essere un buon padre:
- sono l'unico a definire quello che gli altri chiamano "profumo di neonato" per quello che è: odor di maionese andata a male conservata sotto le ascelle di un maratoneta scalzo;
- mi diverto nel vederlo sgranare gli occhi e increspare le labbra quando, dopo aver avvicinato l'agognato succhiotto, glielo allontano di scatto (non una volta, più volte);
- in caso di ciuccio caduto e conseguente ordine di Irene perché mi precipiti a disinfettarlo con l'acqua calda, corro verso il bagno, giro l'angolo, ci sbuffo sopra, aspetto qualche secondo e poi torno col petto gonfio di chi ha assolto al proprio dovere;
- più piange, più rido: quando dopo una lunga rincorsa di vagiti arriva a contorcere la bocca senza emettere suono alcuno ma aspirando aria e vocali, esplodo in una risata fragorosa di cui subito mi vergogno. Poi riprendo a ridere;
- quando ce l'ho in braccio nella fase abbiocco (suo, non mio), gli sussurro all'orecchio tutti i finali delle fiabe che sentirà nel corso dell'infanzia: mi piace immaginare la futura delusione nel momento in cui, a fine storia, si accorgerà di averla già sentita da qualche parte;
- sapendo che distingue già le voci ma a mala pena i contorni, mi diletto a infilarmi lo scialle da allattamento di Irene, una ridicola parrucca di Carnevale e due cachi sotto la maglietta... così, per confonderlo un po';
- se la mamma si assopisce in piena fase allattamento, mi avvicino al bimbo voracemente avvinghiato al capezzolo e gli bisbiglio: "Da lì mi hai sfrattato e lì ritornerò";
- nel caso tocca a me cambiarlo, mi limito a capovolgere il pannolino anziché impazzire a mettergliene uno nuovo (almeno, con le mutande funziona);
- se dorme nella carrozzina e devo portarlo in un'altra stanza, mi permetto tutte quelle accelerate, sterzate e derapate che con la macchina non ho coraggio di fare;
- lo chiamo coi nomignoli che mi ero sempre ripromesso di non utilizzare ("fagiolino", "sbirulino", "pisellino") ma solo perché non mi viene subito il nome registrato all'anagrafe;
- qualora fossi in piedi col piccolo appisolato tra le mie braccia e volessi, che ne so, afferrare con una mano il calice di rosso poco distante sul tavolo e contorcendomi ci riuscissi ma all'improvviso avvertissi la precarietà delle mie due prese... beh, mi ritroverei a dover fare una scelta.

domenica 17 gennaio 2016

Snaturamenti

Ieri serata tranquilla come non accadeva da due settimane e cinque giorni.
Adagiato il pargolo in camera da letto appena chiusi gli occhietti, io e Irene ci siamo spaparanzati sul divano modalità bel film (non vedevo l'ora) e coccole (non vedeva l'ora).
Due ore abbondanti di puro relax senza che mai il ricevitore segnala-pianti pulsasse la lucina verde sinonimo di risvegli agitati e urla strazianti.
Zero allerte, nessun allarmante brusio via etere, la normalità a portata di mano.
Poi il ritorno in camera da letto via via più accelerato causa inequivocabili grida e acuti lancinanti.
A giudicare dal rossore delle guance e dai colpi di scopa dei vicini era da mo' che era partito l'isterismo.
Semplicemente ci eravamo scordati di accendere la radiolina trasmittente.
La serata tranquilla era stata quindi un'eccezione frutto di una nostra snaturata dimenticanza.
Abbiamo deciso di continuare a non accenderla.

domenica 10 gennaio 2016

Crimini

Non capisco tutta 'sta menata del ricordarsi a quale tetta si era attaccato tre ore prima in occasione dell'ultima poppata.
Perché? Se una sizza replica, l'altra s'offende?
Che poi, se mi metto nei pannolini di Federico, tutti 'sti strattonamenti a destra e manca mentre mamma e papà discutono "No, era quella destra" - "Macché, era quella sinistra!" - "Son sicuro: guarda com'è già più munta quella destra!" ha un non so che di masochistico.
Occhi sgranati e labbro superiore tremolante a dire: "Ma vi state divertendo?".
Da maschio posso affermare che l'idea di enormi capezzoloni che si avvicinano e allontanano senza mai planarti in bocca è passibile di denuncia al tribunale dell'Onu per crimini contro l'eccitabilità.

venerdì 1 gennaio 2016

All'unisono

In media avviene due-tre volte al giorno.
Irene, causa bisogno impellente o chiamata urgente, ci molla senza preavviso, cambia stanza e lascia che un silenzio assordante piombi su di noi.
Secondi interminabili in cui io guardo Federico e Federico guarda me. Anche se a distanza di qualche metro - che ne so: io seduto al tavolo a correggere i compiti e lui nel passeggino a succhiarsi i pollici - io tengo d'occhio lui e lui tiene d'occhio a me.
Facciamo finta di fare altro, ma non ci perdiamo di vista neanche un attimo.
Il terrore è dipinto sul volto di entrambi, stile Urlo di Munch che si chiede: "Chi diavolo è questo e che ne farà di me?".
Il silenzio, nel frattempo, si fa sempre più insostenibile, tipo nulla sonoro che precede l'esplosione del tuono.
E infatti, all'improvviso e all'unisono, io comincio a urlare "IRENEEEEEEEEEE!" e il pupo qualcosa di simile: "UENEEEEEEEEEEEE!".