Post più popolari

domenica 29 novembre 2015

Metti una sera al consultorio

L'altra sera abbiamo partecipato presso il consultorio di Caravaggio al primo incontro per coppie che stanno per avere un figlio.
Impressioni in ordine cronologico:
- le gravide, anche se non si conoscono, si salutano euforiche come amiche da una vita (una volta diventate mamme torneranno a detestarsi come solo le donne sanno fare);
- i gravati, anche se non si conoscono, si guardano sconsolati come vittime da una vita (una volta diventati papà continueranno a solidarizzare come solo gli uomini sanno fare);
- a dire il vero, inizialmente, il maschio già seduto accoglie con un ghigno strafottente il maschio appena arrivato (per la serie: "T'han fregato anche a te, eh?");
- solo in un secondo momento la smorfia si spegne e subentra l'occhiata vacua di chi realizza: "Cazzo rido che sono qua pure io?";
- l'occhiata vacua esplode come una bolla quando il maschio avverte l'eco del giro di presentazione (funzionale al ripiglio la gomitata stizzita della compagna): sa che tra poco tocca a lui ma non sa minimamente cosa dire (paranoia inutile: sarà lei a monopolizzare l'intervento, limitandosi a nominare il compagno, il ruolo da lui avuto nella fase riproduttiva e quello di quella sera in quanto autista);
- obbligati a parlare dalla psicologa di gruppo, i maschi sfoggiano il repertorio che tanto li rassicura: battuta a sfondo sessuale con grassa risata degli altri, compassionevole ciondolio all'unisono dei capi femminili, sorriso paralitico della psicologa dal sottinteso neanche troppo velato: "Scimmioni antropomorfi che non siete altro, non vi evolverete mai...";
- il "Come? Sono già passate due ore!" innalzato al cielo dal coro femminile è controbilanciato dal "Quanto cazzo sono durate queste due ore?" cacciato all'inferno dalla compagine maschile (squallida la scusa usata dagli uomini nel corso di tutta la serata - "Sto tenendo d'occhio le contrazioni" - per giustificare l'orologio guardato ogni due per tre);
- il saluto finale in cerchio tutt'in piedi mano nella mano uniamo-i-nostri-respiri-siamo-una-cosa-sola strappa una lacrima agli occhi femminili e... strappa una lacrima anche a quelli maschili.

lunedì 23 novembre 2015

Voyeurismo on the road

Quando sono in macchina e vedo nella vettura davanti una coppia che si agita parecchio, spengo la radio e mi diverto a interpretarne gesti e parole.
Ingrasso più di Robert De Niro nel ruolo di Al Capone, ammattisco più di Johnny Depp nei panni di Jack Sparrow, fingo nonchalance come Leo Di Caprio per l'ennesimo Oscar non ricevuto.
Mi immedesimo alla grande insomma.
Tutto quello sbracciarsi, riportare le mani sul volante, tacere all'improvviso e riprendere a litigare stimola la mia fantasia meglio di 100 puntate del Trono di Spade.
È come essere al drive in, solo che il telo gigante è il cruscotto, la macchina è in movimento e tu sei il doppiatore della pellicola anziché spettatore passivo.
Meglio di un 3D, una specie di realtà aumentata in cui ti ritrovi a varcare lo schermo ed essere uno dei personaggi, anzi tutti i personaggi.
Infatti, come un medium invasato dagli spiriti, mi calo nelle diverse parti e alterno, cambiando la voce, le battute di lui alle risposte di lei.
Dentro ci metto un po' di biografia personale e un po' di cose lette sui libri o viste alla tele.
A volte mi prende così bene che cambio percorso, seguo la macchina esagitata e prolungo il tragitto di qualche centinaio di metri rispetto a dove devo andare.
Altre volte mi invento una storia talmente realistica da autosuggestionarmi e temere per la conclusione. Sono le volte in cui accelero, metto la freccia e supero senza guardare perché non voglio sapere come va a finire.
Altre volte ancora contribuisco alla pace della coppia nel momento in cui, tramite specchietto retrovisore, si accorgono entrambi della mia pantomima, si interrompono, si guardano complici e si girano all'unisono con l'inconfondibile mano a conchetta e annesso labiale: "Cazzi tuoi, nooo?".
Loro scoppiano a ridere, io ci rimango un po' male (non era il finale previsto).

venerdì 20 novembre 2015

Vade in retro!

Da quando abbiamo preso la Golf, la mia vecchia C3 s'è riempita di bozzi e ammaccature.
Non è somatizzazione da primogenita trascurata (non credo le macchine ne soffrano) né bullismo dell'ultima arrivata nei confronti dell'anziana di garage (non credo le macchine lo pratichino).
La C3 s'è riempita di bozzi e ammaccature perché la Golf ha in dotazione il segnalatore acustico di ostacoli e distanze.
Che significa parcheggi e retro alla cazzo di cane che tanto il bip sfruculia-timpani avvisa in tempo quanto manca e quando fermarsi.
Ottimo, fico, hip hip urrà per la tecnologia!
Peccato che la stessa nonchalance sborona con cui ora posteggio la Golf scatti in automatico anche quando manovro la C3 che segnalatore non ha.
Come se tutte le vetture del mondo, anche le più datate, dovessero ormai avere di default lo scandaglio anticozzamenti.
Come quando un'invenzione è talmente scontata e logica che pensi sia sempre esistita (sul serio c'è stata una fase nella storia dell'umanità in cui si andava al fosso a pulire i panni?), che non potevano non averci pensato prima (la lavastoviglie è nata col fuoco e la ruota, vero?), che l'umanità era ben trista cosa senza quella diavoleria (quindi mi stai dicendo che una volta si poteva telefonare solo da casa e cabine? Cabi-cosa scusa?).
L'inconfondibile schianto del botto mi ricorda che non è così.
Lo ricorda a me e ai vicini di casa che lasciano la macchina sotto casa come faccio io.
Hanno imparato sulla loro carrozzeria a temere le mie partenze e i miei arrivi.
Per fortuna tengo un segnalatore acustico vivente nella persona del mio vicino albanese: conosce a memoria i miei orari e s'appoggia a tenermi d'occhio sulla ringhiera del balcone (stile bancone del bar; sarà per questo che ha sempre in mano un bicchierozzo di jagermeister, anche a colazione).
Appena sono a rischio impatto comincia a bestemmiare sempre più velocemente fino al porcone finale, un ultrasuono rivolto a Dio, che mi fa capire di essere al limite.
Lì io mi fermo, lui rientra.
Ci rivedremo a sera.

domenica 15 novembre 2015

Maialeutica

Visita di famiglia a un defunto.
Un nugolo di persone in silenzio, qualcuno che rompe il ghiaccio, ricordi sussurrati, commozione.
Anche le nipotine, immerse fino a dieci minuti prima nei giochi di casa, sembrano capire per la prima volta che c'è un momento nella vita in cui il gioco si interrompe. Definitivamente.
A un certo punto la più piccola mi affianca mentre sono in raccoglimento davanti al feretro.
La guardo e penso a quanto possa essere confusa in mezzo a tanti musi lunghi.
Chissà quali domande insolubili le ronzano per la testa.
Mi prende la mano, fissa la bara (o almeno quello che riesce a vedere in punta di piedi) e con gli occhi rossi sul punto di evacuare mi chiede "Pecché siamo qui? Quando tutto finisce?".
"Belle domande. Soprattutto la seconda. Sai, non siamo noi a deciderlo".
"Voglio sapere quando tutto finisce!".
"Sei troppo piccola per capire".
"Dimmelo!".
"Allora, da dove comincio... C'è chi dice che ce ne andiamo quando il Signore lo decide e chi dice che ce ne andiamo quando il nostro corpo smette biologicamente di funzionare. Pensa che nell'antichità credevano...".
"Zio, bastaaaa… Voglio solo sapere quando tutto finisce che comincia Peppa Pig!".

mercoledì 11 novembre 2015

B'ava o non b'ava?

La scorsa notte, posseduto dal muco, ho cercato di afferrare i kleenex che si trovavano sul comodino di fianco a Irene.
Per non svegliarla, ho inarcato braccio e avambraccio in modo da non sfiorarle la testa e raggiungere l'agognato fazzoletto di carta.
Parevo Nureyev al momento topico della morte del cigno.
Lei però, con l'istinto romantico che solo le donne conservano anche nel sonno, m'ha afferrato l'arto con uno scatto e, sempre senza aprire gli occhi, l'ha avvinghiato a sé come nel più tenero degli abbracci.
Una borseggiatrice delle effusioni, una Pippo Inzaghi dell'area di amore, una velociraptor delle coccole.
Lungi da me tentare di sfuggirle (avete presente la reazione di un velociraptor risentito?).
Un intero albeggiare avviluppati come un muschio al proprio lichene.
Ancora stamattina, nel momento in cui l'ho congedata in punta di piedi socchiudendo la porta, portava stampato in volto il sorriso di chi per tutta una nottata s'è sentita amata e protetta.
Peccato non esserci quando si volterà a respirare il tepore del dov'ero, aprirà lentamente gli occhi e scorgerà una viscida scia di lumaca sul cuscino.

venerdì 6 novembre 2015

Comunque tacco 12!

A volte alzo lo sguardo all'improvviso dalla cattedra o mi giro di scatto dalla lavagna per coglierli in flagrante.
E becco sempre due o tre maschi intenti a fissarmi con la linguetta penzoloni all'angolo della bocca e le dita congestionate a schiacciare i pulsanti di un joystick virtuale che non hanno ma che tanto vorrebbero stringere tra le mani in quel momento.
Allora li fisso a mia volta, aspetto che si ripiglino e dico loro: "Per quanto vi impegniate, son più duro a morire degli zombie dei vostri videogame. E io sono ancora poca cosa rispetto ai mostri che vi attendono là fuori". Quindi con un cenno del capo indico la strada oltre la finestra di classe.
(Più difficile con le ragazzine che si immaginano di cambiarti i vestiti, di scegliere gli accessori e che, se richiamate, ti rispondono "Ancora un attimo prof: ballerine o tacco 12?").

lunedì 2 novembre 2015

In viaggio con zanzà

In queste mattinate di tragitto in macchina verso il lavoro spunta puntuale dopo la rotonda del Rivoltella una zanzara tigre che mi ronza nell'abitacolo per tutto il tempo del viaggio.
Non mi assalta da fuori, viene da dentro.
Non se ne esce subito appena accendo la macchina, ma aspetta sempre un paio di giri del motore per materializzarsi da un posto indefinito sotto il cruscotto.
Quasi si svegliasse con calma, stiracchiasse le alette e si dedicasse quindi alla sua innata propensione a rompere i coglioni.
I primi giorni ho tentato non so quante volte di centrarla, ma - sarà stato l'occhio attento alla strada sarà stata la scaltrezza dell'ospite - non l'ho mai beccata.
Sono passato allora alla modalità "convivenza forzata".
Tempestiva, ogni pomeriggio, al rientro dal lavoro ritrovo la zanzara in macchina pronta a farmi le feste come un cane al padrone.
Insomma, giorno dopo giorno mi ci sono affezionato: spengo la radio perché non si sovrapponga al ronzio, scarto il primo posto libero e parcheggio più in là per stare ancora un po' in compagnia, mi preoccupo se tarda a comparire.
Poi, una sera su internet, la conferma di quanto temevo: la mia amica ha le ore contate visto che il primo freddo autunnale ne segnerà il destino.
La sola idea mi ha levato il sonno.
Allora ieri mattina ho compiuto un estremo atto di amore.
Braccio teso sul volante ore 3, ho attirato la sua attenzione sul lembo di pelle scoperta per concederle ciò che non le avevo ancora concesso: planare, adagiarsi, infilare e succhiare.
In un attimo l'altra mano ha mollato le ore 10 e... SBAM!
Fine tormentata (per me) di una lenta agonia (per lei).
Ho guardato d'istinto nello specchietto per scorgere una lacrima furtiva e a stento mi sono riconosciuto: un ghigno surreale, il ghigno di chi finalmente l'ha beccata, la stronza!