Mattinata di correzioni.
Esercizietto sulle figure retoriche: similitudini, metafore e compagnia bella.
Spunto: la neve come termine di paragone.
Scopo: potenziare il lessico, arricchire la comunicazione, stimolare la fantasia.
Uno si aspetta gli evergreen transgenerazionali: "... soffice come la neve", "...bianco come la neve", tutt'al più un "...ovattato come la neve".
E invece ti ritrovi: "La vita è come un pupazzo di neve. Tanta fatica per farlo e un po' di pioggia per scioglierlo".
Commento a margine: "L'importante è non rimanere con la carota in mano".
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Ho un problema con l’ascensore. Anzi è l'ascensore ad avere un problema con me. Mai, giuro, mai, ci troviamo allo stesso piano: se io ...
venerdì 27 febbraio 2015
domenica 22 febbraio 2015
Bastardo dentro!
Robe da professore: imbambolarsi come un bambino a fissare la neve fuori dalla finestra di classe, addirittura sorridere inavvertitamente, accorgersi all'improvviso che LORO se ne sono accorti e annunciare subito una verifica a sorpresa perché ne va della tua reputazione di insegnante stronzo e insensibile.
venerdì 20 febbraio 2015
Esse sanno
Le donne hanno un ordine che l'uomo non sa.
Soprattutto in casa.
Puoi sforzarti di ragionare come loro quanto vuoi, puoi impegnarti come uno scolaretto che non vuole deludere la maestra, ma i piatti sul lavello saranno sempre disposti "in modo assurdo", i panni stesi "alla cazzo di cane", le scarpe sistemate "ad minchiam".
Che poi voi le guardate mentre mettono mano al vostro supposto disordine e vi chiedete: "Che cazzo di differenza ci sarà, boh?".
Ma per loro una differenza c'è, eccome, e allora vi concentrate sulla milionesima dimostrazione pratica che si conclude sempre con uno stentoreo "Adesso ho capito!".
Capito una cippalippa: la volta dopo sbagliamo ancora convinti invece di aver fatto bene, di aver seguito alla lettera le istruzioni, di aver ottemperato agli ordini, ma bocciati infine da uno sconsolato scrollar di capo.
C'è sempre qualcosa che non va; anche solo un cucchiaino fuori posto che rovina il tutto.
Allora ieri gliel'ho fatta: ho sistemato le stoviglie basandomi sulla foto scattata di nascosto col cellu il giorno prima.
Avrei così dimostrato, una volta subita l'ennesima umiliazione, che non erano le cose a non essere in ordine. Avrei dimostrato che era lei ad aver un fottuto pregiudizio femminile sulla mia maschile inettitudine ad occuparmi delle faccende domestiche.
È entrata, ha guardato il lavello e ha detto: "Perfetto! Bravo! Così si fa!".
Le donne hanno un ordine che l'uomo non sa.
Soprattutto in casa.
Puoi sforzarti di ragionare come loro quanto vuoi, puoi impegnarti come uno scolaretto che non vuole deludere la maestra, ma i piatti sul lavello saranno sempre disposti "in modo assurdo", i panni stesi "alla cazzo di cane", le scarpe sistemate "ad minchiam".
Che poi voi le guardate mentre mettono mano al vostro supposto disordine e vi chiedete: "Che cazzo di differenza ci sarà, boh?".
Ma per loro una differenza c'è, eccome, e allora vi concentrate sulla milionesima dimostrazione pratica che si conclude sempre con uno stentoreo "Adesso ho capito!".
Capito una cippalippa: la volta dopo sbagliamo ancora convinti invece di aver fatto bene, di aver seguito alla lettera le istruzioni, di aver ottemperato agli ordini, ma bocciati infine da uno sconsolato scrollar di capo.
C'è sempre qualcosa che non va; anche solo un cucchiaino fuori posto che rovina il tutto.
Allora ieri gliel'ho fatta: ho sistemato le stoviglie basandomi sulla foto scattata di nascosto col cellu il giorno prima.
Avrei così dimostrato, una volta subita l'ennesima umiliazione, che non erano le cose a non essere in ordine. Avrei dimostrato che era lei ad aver un fottuto pregiudizio femminile sulla mia maschile inettitudine ad occuparmi delle faccende domestiche.
È entrata, ha guardato il lavello e ha detto: "Perfetto! Bravo! Così si fa!".
Le donne hanno un ordine che l'uomo non sa.
martedì 17 febbraio 2015
Di paliNsesto
Mi ritengo una persona abbastanza tollerante.
Quello che mi infastidisce (e ce ne sono di cose che mi infastidiscono) ho imparato a sopportarlo con gli anni e a considerarlo comunque una parte del tutto, di cui anch'io sono solo un infinitesimale spicchio.
Ma inseguirei con l'ascia i responsabili dei palinsesti televisivi notturni quando indicano un orario e mandano immancabilmente in onda il film tre quarti d'oro dopo.
Hai voglia a stare largo coi margini della registrazione, loro lo sanno e fanno in modo che il film finisca anche solo una battuta dopo l'attimo preciso in cui il videoregistratore ha smesso di funzionare.
Si tratta solitamente della battuta decisiva, quella che svela dettagli, dà un senso alla trama e vi manda a letto rimuginosi ma pacificati su quanto appena visto.
E invece no: fotogrammi persi nei meandri della notte, voi che v'innervosite perché è come leggere un romanzo e trovare l'ultima pagina strappata, il sonno rovinato dai mille finali alternativi che vi girano per la testa.
Ad esempio da ieri sera mi tormento su cosa stesse per dire Rocco Siffredi.
Quello che mi infastidisce (e ce ne sono di cose che mi infastidiscono) ho imparato a sopportarlo con gli anni e a considerarlo comunque una parte del tutto, di cui anch'io sono solo un infinitesimale spicchio.
Ma inseguirei con l'ascia i responsabili dei palinsesti televisivi notturni quando indicano un orario e mandano immancabilmente in onda il film tre quarti d'oro dopo.
Hai voglia a stare largo coi margini della registrazione, loro lo sanno e fanno in modo che il film finisca anche solo una battuta dopo l'attimo preciso in cui il videoregistratore ha smesso di funzionare.
Si tratta solitamente della battuta decisiva, quella che svela dettagli, dà un senso alla trama e vi manda a letto rimuginosi ma pacificati su quanto appena visto.
E invece no: fotogrammi persi nei meandri della notte, voi che v'innervosite perché è come leggere un romanzo e trovare l'ultima pagina strappata, il sonno rovinato dai mille finali alternativi che vi girano per la testa.
Ad esempio da ieri sera mi tormento su cosa stesse per dire Rocco Siffredi.
venerdì 13 febbraio 2015
Il prossimo, grazie
Ormai sento distintamente i loro pensieri mentre mi avvicino ostentando la più disinvolta delle disinvolture.
Musichetta di sottofondo e chiacchiere intorno non valgono a silenziare le loro paranoie: "Non venire da me. Ti prego, non venire da me. Non venire da me...".
Una specie di mantra scaccia-incubo che funzionerà per tutte loro tranne una.
E sì, perché una benedetta cassa dove appoggiare la spesa a un certo punto dovrò pur sceglierla.
Un ultimo barlume di speranza nello sguardo della cassiera quando cerca con lo sguardo Irene nel caso mi raggiungesse all'ultimo secondo dalla corsia del latticini.
Ma quando capisce che sono davvero solo è la fine.
Che poi sono anche bravo a disporre a incastro i prodotti sul nastro scorrevole; è il dopo che mi frega: non riesco a tenere il ritmo di chi mi serve, addirittura più lenta del solito pur di darmi il tempo di infilare tutto nei sacchetti.
Ma non ce la faccio: m'incasino, vado in pappa col cervello, mi sento improvvisamente ostaggio del criterio delle cose fragili sopra e di quelle pesanti sotto.
Guai a contravvenire, poi sono cavoli amari a casa.
Ogni nuovo prodotto che mi scivola incontro mi sembra più pesante di quello imbustato un attimo prima e allora via a disfare e rifare mentre due metri più in là la fila s'ingrossa e s'innervosisce.
Non vi dico la serenità collettiva quando l'estate scorsa mi sono presentato alla cassa col carrello pieno solo di una grossa anguria.
Io e la cassiera c'abbiamo anche scherzato sopra.
A casa l'anguria sembrava perfino più buona.
Musichetta di sottofondo e chiacchiere intorno non valgono a silenziare le loro paranoie: "Non venire da me. Ti prego, non venire da me. Non venire da me...".
Una specie di mantra scaccia-incubo che funzionerà per tutte loro tranne una.
E sì, perché una benedetta cassa dove appoggiare la spesa a un certo punto dovrò pur sceglierla.
Un ultimo barlume di speranza nello sguardo della cassiera quando cerca con lo sguardo Irene nel caso mi raggiungesse all'ultimo secondo dalla corsia del latticini.
Ma quando capisce che sono davvero solo è la fine.
Che poi sono anche bravo a disporre a incastro i prodotti sul nastro scorrevole; è il dopo che mi frega: non riesco a tenere il ritmo di chi mi serve, addirittura più lenta del solito pur di darmi il tempo di infilare tutto nei sacchetti.
Ma non ce la faccio: m'incasino, vado in pappa col cervello, mi sento improvvisamente ostaggio del criterio delle cose fragili sopra e di quelle pesanti sotto.
Guai a contravvenire, poi sono cavoli amari a casa.
Ogni nuovo prodotto che mi scivola incontro mi sembra più pesante di quello imbustato un attimo prima e allora via a disfare e rifare mentre due metri più in là la fila s'ingrossa e s'innervosisce.
Non vi dico la serenità collettiva quando l'estate scorsa mi sono presentato alla cassa col carrello pieno solo di una grossa anguria.
Io e la cassiera c'abbiamo anche scherzato sopra.
A casa l'anguria sembrava perfino più buona.
sabato 7 febbraio 2015
No smoking
Non male la proposta del Ministero della Salute di levare la sigaretta dalle mani degli attori perché dall'alto del grande schermo non facciano da cattivo esempio. Potremmo addirittura far sì che la legge abbia valore retroattivo: anziché un'aspirata di sigaro un bel morso a un ipercalorico cheeseburger ogni volta che Hannibal Smith è soddisfatto del piano ben riuscito, invece di una sigaretta col bocchino un frustino sadomaso per quell'isterica di Crudelia Demon, al posto dell'inconfondibile Chesterfield uno sfizioso togo al cioccolato per Humphrey Bogart, in sostituzione del vizioso narghilè un sano vaporizzatore per i bronchi intasati del povero brucaliffo.
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