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domenica 27 dicembre 2015

Gravedanza

Dieci cose (imparate sulla mia pelle) che un compagno senza pancione non dovrebbe mai dire alla compagna col pancione:
- "Ma poi torni normale?";
- "Sbaglio o in mia assenza hai ingoiato un'anguria intera?";
- "Siamo sicuri non siano due gemelli, che hanno invitato degli amici, che si son presentati con delle tipe, che...";
- "Mi sa che se ti giro intorno mi viene il fiatone";
- "Tu non lo sai amore, ma ogni tanto mi fermo in anticamera mentre cerchi di alzarti dal divano. Rimango lì, non visto, mentre divincoli le mani in aria e scalci gli arti inferiori per riguadagnare la posizione eretta. Proprio come quella tartaruga delle Galapagos di quel documentario... Ti ricordi? Ma sì, dai: grossa e lenta, si era capottata e non riusciva più...";
- "A furia di aprire e chiudere le ante degli armadietti in cucina ti sono venuti degli avambracci alla Van Damme";
- "A volte, quando siamo in casa, scompari all'improvviso con una scusa e perdo le tue tracce per qualche minuto. A un certo punto mi preoccupo e vengo a cercarti. Chiudo gli occhi, drizzo le orecchie e seguo il rumore di sgranocchii e ruminamenti vari. Quella volta nello sgabuzzino, nascosta con le macine in mano tra il ventilatore e il folletto, mi ero preoccupato un po' di più";
- "Posso essere sincero? Da quando hai quel po' po' di pancia russi peggio di un marinaio serbo ubriaco";
- "La scorsa notte mi sono alzato per andare a bere. Non lo faccio mai, ma a cena avevamo mangiato parecchio salato. Rimembri? Fatto sta che, prima ancora di accendere la luce, ho sentito il frigor tremare e bisbigliare: Fai che non sia lei, fai che no sia lei...";
- "O signùr quate scene! La prossima gravidanza la faccio io".

mercoledì 23 dicembre 2015

Mutando

"Sbottono o trattengo?".
Atroce dubbio quando, a casa di altri, scappa la cosa grossa ma qualcuno c'ha già pensato.
C'ha già pensato e c'ha tenuto a farlo sapere con una vistosa sgommata sulla parete interna della tazza. Di quelle fossilizzate che anche lo scovolino a un certo punto sbotta: "Bòna, rinuncio!".
Residuo organico che, se avesse la parola, si comporterebbe da stronzo (appunto) e direbbe: "Adesso giustificami tu agli altri".
Legittima risposta: "E che c'entro io?".
Prevedibile reazione degli altri: "Ma sei stato l'ultimo ad andare in bagno!".
Pericolosa premessa a supporto della prevedibile reazione: al momento del bisogno avevate simpaticamente sottolineato ad alta voce che v'apprestavate a DEFECARE (il termine altisonante associato alla cacca strappa sempre un sorriso collettivo e vi ricorda quanto siete simpatici).
Le alternative a quel punto sono:
- sbottonare ed evacuare senza poi dover nulla giustificare (rischio: accettare che per il resto della serata - probabilmente delle serate - voi sarete quello che "autografa" le maioliche);
- sbottonare, evacuare, ma una volta di là subito precisare: "Allora, io ho cagato ma prima di me..." (rischio: introdurre un fattore di tensione per il resto della serata che vi inimicherà per sempre il padrone di casa e gli altri ospiti ormai diffidenti l'un dell'altro. Unico serafico l'autore della sgommata: "Che fanno ora? Passano al setaccio le chiappe?");
- sbottonare, evacuare e qualcuno al pubblico ludibrio additare ("Allora, io ho cagato ma prima di me..." e puntare il dito contro il bambino timido che non aveva parlato per tutta la serata e che probabilmente non parlerà mai più in vita sua);
- tornare dal bagno senza aver evacuato, fingersi beatamente scaricato, ingaggiare in realtà una silenziata battaglia col proprio sfintere e salvare così la faccia (ma non le mutande).

sabato 19 dicembre 2015

Alla casetta dell'acqua

Un passante che mi scorgesse da dietro in quei frangenti potrebbe rimanere basito.
Io che di spalle muovo convulsamente le mani tipo deejay in bamba matta. Tipo insegnante di chimica che saetta tra fiale e alambicchi per cucinare amfe. Tipo operaio alienato che saltella da destra a sinistra e da sinistra a destra alla catena di montaggio. In realtà non sto più nella pelle quando alla casetta dell'acqua non c'è nessuno ed entrambi gli erogatori sono tutti per me. In una postazione inserisco la tessera e nell'altra le monetine. E poi godo come un riccio a infilare bottiglie (1 - 1,5 - 2 litri) e a scegliere getti (lisci veloci o lenti gasati). Improvviso le soluzioni a seconda dell'ispirazione del momento. Tengo d'occhio le due fonti e non mi concedo tregua. Infilo, tiro via, infilo, tiro via, infilo, infilo, tiro via. Dum da dum da dum dum da. Una sinfonia di schizzi che è pura adrenalina. Fino a quando arriva l'immancabile vecchietta con una bottiglietta da 0,5 (raggrinzita e ingiallita, la bottiglietta dico) a sgranchirsi la voce e reclamare il turno. Allora mi scema il sentimento. Libero una postazione e finisco il rabbocco nell'autismo più totale. Gesto cavalleresco da parte mia, sorriso di circostanza da parte sua. Silenzio assoluto a parte l'acqua che scende. Fine nello stesso istante dei rispettivi getti. In tempo per sentirmi sibilare "rompipalle" e lei bofonchiare "drogato".

lunedì 14 dicembre 2015

Tatanka

Il mio vicino albanese è adorabile: educato, gran lavoratore, sempre allegro, generoso.
Ha una sola pecca: conosce tre parole tre della lingua nostrana nonostante i non pochi anni di residenza in Italia.
È stato infatti tra i primi ad arrivare una ventina d'anni fa (all'epoca avrà avuto quarant'anni), ma da allora zero progressi nell'arricchimento del bagaglio lessicale.
Le tre parole tre sono:
-"Bellaaa gionnata!" urlato al mondo quando ci incrociamo sul pianerottolo la mattina prima di andare al lavoro (la variante "Gionnata di medda!" fa capolino solo in caso di pioggia o nebbia);
-"Grazzzie" infilato in ogni conversazione non implicante per forza forme di cortesia: "Allora, come sta?" (n.b. gli do del lei) - "Grazzie" - "Tutto bene a casa?" - "Grazzie" - "Sua moglie?" - "Grazzie"; oppure: "Scusi il disturbo a quest'ora. Non ha per caso del sale da prestarmi?" - lui scatta in cucina a prendere il sale (perché per capire capisce benissimo), poi torna alla porta e, prima che io riesca ad aprir bocca, mi congeda con un "Grazzie";
-"E adessso bbuona bottiglia di vinooo!" pronunciato con la beatitudine di chi già se la pregusta a qualsivoglia ora pomeridiana una volta terminata la giornata in cantiere.
Possono essere anche le 16, ma l'incontro sulle scale inizia immancabilmente col suo "E adesso buona bottiglia di vinooo!".
Al che gli faccio presente che forse è un po' prestino per bere un goccio.
Lui mi sorride a 32 denti (facciamo 22 visto che gliene mancano una decina qua e là), accenna con lo sguardo a un ripensamento e infine s’irradia: " Grazzie!".

venerdì 11 dicembre 2015

Metti di tornare una sera al consultorio

Ripresa del corso per futuri genitori dopo pausa forzata causa psicologa sbarellata.
Nuova psicologa che a questo punto se ne dovrebbe stare nell'angolino schiacciata e invece no.
Dopo collage da riviste, disegni sul pancione e ombre cinesi alla parete (questa ve l'ho risparmiata), l'altra sera è toccato alla messinscena (o "drammatizzazione" come l'ha chiamata lei).
Compito: rappresentare quanto appreso nel corso dei precedenti incontri.
Organizzazione: maschi da una parte e femmine dall'altra.
Prove generali (15 minuti):
- donne: sagra del pettegolezzo, grasse risate e due minuti due per abbozzare uno straccio di copione.
- uomini: 15 minuti (facciamo 14: primo minuto passato a sbuffare, imprecare e maledire) di brainstorming per tirare insieme qualcosa di decente e dimostrare di essere stati attenti.
Rappresentazione vera e propria:
- donne: tre quarti d'ora di puro avvizzimento testicolare in cui le quasi mamme hanno ricostruito nei minimi dettagli tutte le tappe del parto dalla prima contrazione al primo vagito (a metà siamo usciti per l'aperitivo e non se ne sono neanche accorte).
- uomini: messinscena (4 minuti e 35) stravolta rispetto al canovaccio originario (nessuno si ricordava più niente, complici gli aperitivi), improvvisazione totale (compresa la scena del concepimento), poche idee e confuse (che Marco-ossitocina e Manuel-adrenalina a un certo punto cominciassero a insultarsi non era contemplato. N.b. Avevano cominciato al bancone attorno alla questione filosofica Rossi/Marquez).
Nostro però l'epilogo più bello (questo sì previsto sin dall'inizio): i due papà che avevano interpretato fino a quel momento i futuri genitori diventano all'improvviso Maria e Giuseppe, il bambolotto di circostanza viene spacciato per il Bambin Gesù, Marco e Manuel si trasformano nel bue e nell'asinello (e continuano a guardarsi in cagnesco), io mi infilo una specie di festone in testa (fregato uscendo dal bar) e faccio la stella cometa, il più brillo entra in scena nei panni del pastore ubriaco e lo interpreta da dio (deve limitarsi a seguirmi senza inciampare, fermarsi davanti alla Sacra Famiglia, girarsi verso il pubblico e biascicare Buon Natale).
Silenzio. Pubblico apparentemente freddo. Poi le ragazze scoppiano a ridere.
La nuova psicologa ci fa i complimenti perché abbiamo aiutato le nostre compagne a produrre serotonina e quindi a rilassarsi (noi: "Sì, ecco, brava, esatto, proprio quello!").
Ce la pulleggiamo, ci diamo amichevoli pacche sulle spalle (tranne Marco e Manuel) e non vediamo l'ora passi una settimana per l'incontro successivo (anche perché i Negroni sono davvero buoni, lì, a Caravaggio, tra il consultorio e il santuario).

martedì 8 dicembre 2015

Metti invece una sera non al consultorio

Vista la sospensione del corso pre-parto (la psicologa sta andando dalla psicologa), ieri sera ne abbiamo approfittato per una capatina all'ospedale che dovrebbe far da sfondo alle nostre doglie (e sottolineo nostre).
Un incontro propedeutico allo scopo di rasserenare i futuri genitori facendo conoscere loro spazi e tempi di fine-gravidanza.
"Ben venga, - bofonchiavo alla guida in direzione Bergamo - non sia mai che riesca a vincere la mia storica avversione verso i luoghi di cura".
("Hai detto qualcosa?"
"No amore, stavo ripetendo come un mantra: utero dilatato senza paura!").
In passato mi è capitato più volte di svenire al solo sentir parlare di aghi, corsie e padelle.
È successo che parenti convalescenti dovessero alzarsi dal letto con le poche energie in corpo per cedermi il posto prima che la bassa pressione mi trascinasse a terra.
Anni fa, nelle vesti di postino stagionale, consegnai una raccomandata all'ospedale di Treviglio nelle mani della portinaia, la quale pensò bene di firmare la ricevuta con una simpatica penna a forma di siringa e io...
"Prego, prego" - una voce calda e gentile mi strappa da pericolosi déjà vu e mi riporta ai momenti del sopralluogo - accomodatevi": aula di ricevimento ovattata e accogliente, equipe schierata e sorridente, presentazione delle diapositive efficace ed esauriente.
Zero sudori freddi, nessuno sbiancamento, paura esorciz...
Sul maxi-schermo parte all'improvviso una compilation mixata (featuring Dario Argento) di urla materne, gambe divelte e creature imbrattate di placenta che mi provoca nell'ordine: senso di vertigine, ricerca disperata di una liquirizia in tasca (la caramellina di
scorta, quella che tengo sempre in fondo al porta-occhiali), forze che vengono meno, porta-occhiali mellifluo e irraggiungibile, io che guardo supplichevole Irene, lei che mi fulmina e sibila "Non qua, non ora!", io che vedo sempre più annebbiato, lei che scuote la testa, io che mi ripiglio nell'aula vuota a incontro ormai finito e cerco subito di capire quanto tempo è passato.
Meno di quanto sperassi: Irene è immobile al mio fianco col muso lungo e la pancia ancora gonfia.
Mi sa che mi tocca la sala-parto.

sabato 5 dicembre 2015

Metti una terza sera al consultorio

Al terzo incontro al consultorio entro rassegnato con la speranza che almeno psicologa e gestanti se la raccontino per due ore e lascino in pace noialtri inseminatori.
Avevo già in mente un numero con la pallina da tennis che ci pensavo da una settimana e che avrebbe strappato un "oooh" di approvazione agli altri maschi presenti.
Naturalmente niente di tutto ciò: varcata la soglia strabuzzo gli occhi su padri genuflessi a imbrattare il pancione materno con pennarelli, tempere e tinture varie.
Scopo dell'attività: disegna tuo figlio.
Pasticci cromatici, linee sghembe, contorni indefiniti, autentici obbrobri artistici.
Le mamme in piedi che se la ridacchiano e i compagni a terra che se la bestemmiano.
Costretti a lavori di fantasia che l'ultima volta era stato alle elementari quando avevano portato a casa un "appena appena suff." che era stato motivo di strigliata a casa da cui un fiume di lacrime e lo sberlone del papà e la corsa in camera e a letto senza cena. Un trauma insomma.
Per fortuna il puntuale ritardo con cui io e Irene ci presentiamo a lezione mi esenta dall'incombenza.
Dall'incombenza di scarabocchiare ma non da quella di commentare i capolavori altrui.
La psicologa (credo mi abbia preso di mira) mi accoglie col solito sorriso alla It: "Visto che arrivi ora, dacci un parere ponderato sulle opere dei tuoi amici!".
Il dilemma divampa spontaneo: cazzaro e solidale coi maschi o serioso e ruffiano con le femmine?
Capace che Irene mi abboni gli incontri successivi!
Grondo sudore, non so che fare, secchezza delle fauci, l'attesa cresce, schiudo le labbra...
Dio benedica la permeabilità della pelle umana!
La psicologa si accorge all'improvviso di aver rifilato colori invasivi per la cute in grado di raggiungere il feto.
Fuggi fuggi al pronto soccorso e seduta sciolta anticipatamente.
P.s. dell'ultima ora: mamme e bambini tutto bene, psicologa meno, corso sospeso, padri-artisti delusi ché alla fine al mio giudizio ci tenevano, io di più ché c'ho ancora quel numero con la pallina in testa.

mercoledì 2 dicembre 2015

Metti un'altra sera al consultorio

Caravaggio, consultorio per coppie in odore di genitorialità, secondo incontro.
Il maschio ha guidato per tutto il viaggio ripetendo: "Non capisco perché hai insistito tanto a voler tornare. Vedrai che stasera non ci sarà nessuno! La scorsa volta si è parlato di tutto fuorché del parto. C'han fatto tagliare figure dalle riviste patinate e assemblare un collage sul tema "In attesa di". Per poi "venderlo" agli altri come il battitore d'asta di Tele Elefante (quello asmatico e rantolante che non crede per primo ai quadri-fuffa che cerca di rifilare).
Il maschio ha parcheggiato, sbattuto la portiera e camminato a testa bassa fino al portone d'ingresso ribadendo: "Non capisco perché hai insistito tanto...".
Il maschio s'è voltato, è tornato alla macchina e ha aiutato la compagna col pancione a scendere scandendo: "...a voler tornare. Vedrai che stasera...".
Il maschio si è riavviato verso l'entrata, s'è girato poco prima di varcare la soglia e ha girato la maniglia sillabando: "...non ci sarà NES-SU-NO!".
Poi lo shock: le luci artificiali della stanza, il tepore dei corpi costretti in pochi metri quadri, il sorriso clownesco alla It della psicologa, il sovrapporsi concitato delle voci femminili, il silenzio assordante delle comparse maschili.
Lì sullo sfondo, imbalsamati spalle al muro, molli come pouf sgualciti, personaggi silenti di uno spettacolo scritto da altre.
Per tutta la durata dell'incontro alzano ogni tanto lo sguardo, si fissano negli occhi e comunicano telepaticamente: "Almeno tu potevi rimanere a casa! A quel punto anch'io... C'ė mancato il coordinamento, c'è mancato...".
Poi tornano a giocare con la pallina da tennis, una per ciascuno, che avevano cominciato a maneggiare già la volta prima.
Pensavano servisse per una qualche forma di massaggio propedeutico al parto, tipo quelle cose ayurvediche orientaleggianti viste in chissà quale film.
Solo ora capiscono le reali intenzioni della psicologa: le aveva distribuite perché loro, i maschietti, ci giocassero un po' durante le sedute.
Facendole scivolare, schiacciandole al suolo col palmo della mano, roteandole in cerchi concentrici, fissandone con sorriso ebete la superficie spelacchiata, seguendone i rimbalzi (piccoli, millimetrici, impercettibili... quanto basta per non provocare l'occhiataccia fulminea della partner).