Non sono mai stato un tipo sportivo.
Zero calcio, un po’ di tennis quando ancora le racchette erano di legno, quella volta che corsi i 100m inseguito da uno sciame.
A scuola, in Educazione Fisica, un 6 risicato.
Ancora oggi il massimo che mi concedo sono poche flessioni e un paio di addominali così da poter rispondere, nel caso me lo chiedessero, “Ultimamente faccio palestra”.
Tutto improvvisato, si intende: salotto di casa, tappettino-puzzle del bimbo e conteggi taroccati per accelerare la fine.
La cosa si è fatta divertente da quando l’altro giorno Federico si è fermato al mio fianco, mi ha scrutato incuriosito, si è sdraiato e si è messo ad imitarmi nei movimenti.
La cosa si è fatta meno divertente da quando quello stesso giorno Federico andava avanti negli esercizi mentre io già ansimavo.Si fletteva e rideva, si fletteva e rideva.
Arrancavo e imprecavo, arrancavo e imprecavo.
Un’umiliazione, un “sorpasso” padre-figlio in anticipo rispetto alla tabella di marcia (avevo calcolato sui vent’anni, non venti mesi).
Ieri sera una piccola soddisfazione a ristabilire l’ordine naturale delle cose: lui in bagno che si sforzava sul vasino da notte; io che l’ho affiancato, mi sono seduto sulla tazza e ho seraficamente espletato.
Tutto ciò senza mai guardarlo in faccia bensì fischiettando un simpatico motivetto.
Prima di uscire l’ho fissato e gli ho detto: “Schiaccia tu visto che ti allunghi così bene”.
Irene dice che sono immaturo, orgoglioso e infantile.
Io dico che ha cominciato lui.
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A vent'anni scendevo in strada per cambiare il mondo. A quaranta mi abbasso a raccogliere il pongo.
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