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giovedì 25 settembre 2014

Motels

I motel che costellano a bordo carreggiata le strade secondarie degli Stati Uniti sono grossomodo riconducibili a 3 categorie principali:


1) quelli con insegna al neon rosa fenicottero mezz’accesa e mezza spenta con (in ordine di apparizione): tizio inebetito con birra in mano-rutto libero alla “reception”, scarafaggio ammaestrato che vi conduce in stanza, camera vintage anni ’30 ancora impregnata dell’ultimo sigaro fumato da John Wayne e tosaerba finito chissà come sul fondale della piscina.
2) quelli a gestione familiare in cui però vedrete sempre e solo lei, la matriarca (di marito e figli nessuna traccia, tanto da venirvi il sospetto che li abbia fatti fuori), all’insegna di: colazioni abbondanti e monotematiche (cialde all’uovo e sciroppo d’acero, cialde all’uovo e sciroppo d’acero, cialde all’uovo e sciroppo d’acero), pressanti inviti a partecipare alla funzione domenicale per redimere i propri peccati (eppure c’era parso di non aver fatto rumore) e strazianti abbracci prima della partenza (della serie: “Non fatevi tentare dalle grandi metropoli”).
3) quelli appartenenti alle grandi catene internazionali fintamente contestualizzati: finto ingresso saloon tipo villaggio Rio Bravo di Gardaland, finta musica country in filodiffusione registrata da una qualche garage band di Pechino e facchino finto nativo con finte perle di saggezza (“Valigia su pavimento è pizzicotto a viso di Madre Terra”… e “‘sti cazzi!” vi verrebbe di dirgli).

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