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domenica 7 giugno 2015

Dott. Stranamore

Da un paio di settimane, complice il bel tempo, si fermano ai muretti sotto casa un paio di ragazzi, presumo a orecchio sui sedici anni, a parlare dei fatti loro che a quel punto diventano anche fatti miei.
Questo perché i due arrivano in piazza immancabilmente verso mezzanotte, ora in cui io vado a nanna, e mi fanno compagnia con le loro chiacchiere almeno per mezz'oretta, tempo di crollare nel sonno più ovattato.
Potrei leggere e farmi i cazzi miei, ma da un lato il loro borbottio mi deconcentra, dall'altro non vedo perché leggere la vita romanzata quando puoi ascoltare la vita raccontata.
E allora, pur non avendoli mai visti, posso dire di sapere abbastanza di loro: i nomi naturalmente, le voci, gli intercalari e i modi di dire, ma anche gli aneddoti, le sparate, i discorsi sui massimi sistemi, le confidenze.
In particolare uno dei due racconta ogni sera, in modalità loop, della cotta che s'è preso per una "tipella" del paese e giù racconto particolareggiato di come è fatta, cosa è bella e quanto è in gamba.
Fatto sta che l'altro ieri, sceso dalla macchina, incrocio per strada una ragazza nei tratti e nei modi spiccicata alla descrizione sentita per tante sere.
Allora, senza filtro, passandole a fianco quasi senza guardarla, le dico: "Guarda che piaci a Tizio".
Ieri sera, ai muretti in piazza, non ho sentito più i due amici, ma Tizio in compagnia della ragazza a cui avevo rivolto quasi per gioco la parola.
Dopo un'iniziale logorrea di entrambi, quasi a voler vincere la timidezza con le parole, è seguito un improvviso e prolungato silenzio.
Allora ho preso il libro dal comodino e ho ricominciato a leggere.

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